“I AM LOVE”. Il grande successo americano di “Io sono l’amore” di Luca Guadagnino

Io sono l’amore” di Luca Guadagnino. Con Tilda Swinton, Edoardo Gabbriellini, Alba Rohrwacher, Pippo Delbono, Gabriele Ferzetti, Marisa Berenson. Italia, 2009.

La protagonista Tilda Swinton con Mattia Zaccaro.

  • Incredibile, da noi “Io sono l’amore” è stato snobbato dai critici e visto solo da un pugno di spettatori. Negli Stati Uniti invece recensioni entusiaste e incassi insperati. Un vero e proprio caso.
  • Valutazione: 75/100

il poster americano

Quando fu presentato a Venezia l’anno scorso fu relegato in una sezione minore, mica in concorso, per carità. Troppo laccato e leccato, troppo manierato, troppo wannabe Visconti, scrissero i nostri eroi della critica made in Italy a proposito di “Io sono l’amore” di Luca Guadagnino, ascesa e soprattuto caduta di una borghese famiglia di Milano alloggiata in una meravigliosa villa farcita di Sironi e Morandi (Villa Necchi, infatti). Al sopracciglio alzato dei critici è seguita la disattenzione del pubblico, che non si può dire abbia decretato al film, uscito qualche mese fa, un successo da cinepattone. Eppure il tam-tam all’estero era stato subito velocissimo, fin dalla prima veneziana. Stupirono già allora le righe positive scritte da Variety, e l’attenzione di americani, inglesi, tedeschi presenti al Lido al film di Guadagnino tanto snobbato dai nostri.

Tilda Swinton in una scena.

Adesso siamo all’uscita sul mercato anglofono, quello più importante, che vuol dire UK ma, soprattutto, America. Nei cinema Usa e canadesi da tre settimane, “I am Love“, questo il titolo english version, ha raccolto una tale quantità di giudizi positivi come non capitava a un film italiano da tempo incalcolabile (neanche “Gomorra” era piaciuto tanto da quelle parti, mentre un po’ meglio era stato accolto “Il divo”).

Partiamo dal “New Yorker“, come dire il settimanale più chic e più snob del globo terracqueo, quello che con una riga può decretare o distruggere la fortuna di un film, di un libro, di un politico. Anthony Lane gli dedica due pagine, raccomandando di non aspettare il dvd ma di correre al cinema per gustarsi “I am Love” in tutto il suo fulgore estetico e narrativo. E giù elogi alla protagonista Tilda Swinton e a tutti gli attori (“the casting is carefully done”). Se poi si va su “Rotten Tomatoes“, sito che sa essere feroce in fatto di film e che raccoglie opinioni da ogni parte della stampa e della rete Usa, da Cleveland a San Francisco, vediamo subito che a “I am Love” viene assegnata una valutazione di 81 su 100, che significa eccellenza assoluta.

"Io sono l'amore": la famiglia Recchi.

Ma a sbalordire è il box-office. Nell’ultima rilevazione del sito Box Office Mojo, quello relativo alla settimana 2-6 luglio, “I am Love” si piazza al 14esimo posto, appena fuori dalla Top Ten, con 2 milioni di dollari di incasso in tre settimane e una media per screen altissima. Per dare l’idea, il film in Italia ha raccolto complessivamente meno di un milione di dollari in tutto il suo iter, cifra che in pochi giorni il botteghino Usa ha raggiunto e ampiamente superato. Se continua a marciare a questo ritmo, il film di Guadagnino rischia di diventare il miglior successo italico sul mercato nord-americano da molti anni a questa parte, roba che non ci si ricordava più dai tempi di Benigni e “Il postino”.

Dal sito Mojo Box Office

Stiamo a vedere cosa succederà quando tra Golden Globe e il resto partirà la stagione dei premi. Con le credenziali accumulate finora negli States, “Io sono l’amore” potrebbe fare la sua bella corsa. E se qui fossimo un po’ meno faziosi e un po’ più astuti lo designeremmo al primo colpo come candidato nazionale agli Oscar. Ma scommettiamo che non andrà così? Che vinceranno i soliti interessi di bottega che finiscono poi col penalizzare il sistema-cinema italiano?

IL TRAILER AMERICANO

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IL TRAILER ITALIANO

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AGGIORNAMENTO

“Io sono l’amore”, anzi “I Am Love”, continua la sua marcia al box-office americano. Qui i dati relativi alla settimana 9-15 luglio 2010. Il film di Guadaganino è al 16esimo posto. Tra i cosiddetti arthouse-movies, quelli che da noi si chiamavano film d’essai, è il meglio classificato dopo “Cyrus”.

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