Eppure “TOY STORY 3” mi ricorda “Schindler’s List”

Toy Story 3 – La grande fuga” di Lee Unkrich – animazione

Valutazione: 70/100


Giocattoli prigionieri in un asilo-lager. Un peluche-despota. Sinistri bambolotti-bodyguard. Scimmie-poliziotto. Se questo è un film per bambini

Ora che il padroncino Andy è diventato grande e va al college, che ne sarà dei suoi giocattoli? Ci sono il cowboy coraggioso, il cosmonauta smargiasso di tutte le galassie, Mr e Mrs Potato, il cane tiramolla, la cowgirl tosta ma dal cuore d’oro. Sono anche un po’ logori, gli Andy’s Toys, relitti di un’era meccanica in tempi di trionfante chincaglieria elettronica. Il loro destino è segnato, in soffitta se va bene, se no in discarica, la soluzione finale dei giocattoli. Una landa franosa di lamiere, gomme, molle, teste e braccia disarticolate, con in fondo il Grande Rogo che tutto distrugge.

L’avventurosa parte terza della Toy-saga sta tutta qui, nella lunga marcia dei giocattoli tra mille pericoli per evitare la discarica fatale, nella lotta per la sopravvivenza in un universo più darwiniano delle Galapagos della tartaruga-preda e del falco-predatore. Finiscono in un asilo lager dove vengono strapazzati da orde di bambini violenti, vengono chiusi in gabbie sorvegliate da scimmie e bambolotti sinistri agli ordini del despota Lotso, un orso di peluche che è un concentrato di ogni ferocia umana. Evadono, vengono ripresi, evadono di nuovo.

Toy Story 3” è strapieno di invenzioni visive e narrative. Si rimane esterrefatti per la perizia tecnica di casa Pixar, ma ancor più per la sapienza nell’intrecciare e distillare storie che viene dalla tradizione Disney e degli studios della Golden Era hollywwodiana, quando si mettevano al lavoro squadre di grandi autori che ci perdevano le notti e scrivevano e riscrivevano per mesi sotto la frusta del boss, finchè non usciva il copione perfetto.

Ma in TS3, come in altri prodotti Pixar (“Up“, “Wall-e“) , non c’è solo omaggio e continuità rispetto al glorioso passato, ma anche un sotterraneo gusto molto contemporaneo per il freak, il patologico, l’eccessivo. TS3 è anche un film di mostri e mostruosità, di occhi cavati, membra spezzate, teste fracassate, corpi deformi, torture, giochi sadici, punizioni estreme. Film mainstream, ma agitato da onde maligne e gorghi.

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Sarà anche per questa complessità che s’è gridato al capolavoro adatto a grandi e piccini, anzi più ai grandi, che possono leggerne la trama di rimandi, citazioni, testi e sottotesti. Eppure qualcosa non funziona. Non c’è la leggerezza dei grandi classici di casa Disney, che sapevano rappresentare il male e attraversarlo a passo di danza (avete in mente “Bambi”?). In TS3 tutto è denso, troppo. Fatti e personaggi si affollano e si agitano senza requie in un delirio ipercinetico che è di molto cinema d’oggi, è vero, per non parlare dei videogames, ma disturbante in un film che si pretende per bambini.

Nonostante i momenti di sublime divertimento (la sfilata di Ken, la danza flamenca del cosmonauta) resta un film lugubre. Dite che i bambini amano farsi spaventare, che anche con Hansel e Gretel si andava giù pesante? No, qui è tutt’altra cosa, qui c’è l’Orrore. Quello che ha segnato il secolo breve, l’infame Novecento dei totalitarismi e dei massacri di massa, dei  lager e dei gulag. “Toy Story 3” altro non è che un cupo racconto di prigionia e di fuga, di schiavi e di aguzzini ebbri di potere, di un olocausto sempre sfiorato e solo alla fine evitato.

Steve McQueen in "La grande fuga", 1963

Esci dal cinema con un grumo di angoscia che non va via. TS3 riporta in mente “La fattoria degli animali” e i grandi film sull’universo concentrazionario, “Il ponte sul fiume Kwai” , “La grande fuga”, ma senza il senso di redenzione e di ottimismo che percorreva quei classici del cinema felix tra anni ’50 e ’60. Nonostante le sequenze di alleggerimento e decompressione (come quelle, incantevoli, tra Ken e Barbie; a proposito, quanto saranno durate le trattative tra le due superpotenze Disney e Marvel per addivenire a un accordo?) il peso specifico del film resta pericolosamente alto. Finché, di associazione in associazione, ci si rende conto che il vero, per quanto inconscio, modello di riferimento di “Toy Story 3” è il cinema dell’Olocausto.

Liam Neeson e Ben Kingsley in "Schindler's List"

I giocattoli che cercano di sottrarsi all’annientamento ricordano gli ebrei prigionieri nelle città-ghetto di “Schindler’s List“, il carro che potrebbe portarli in discarica ricorda i i treni blindati in corsa verso i campi di tanti film, da “Mr Klein” a “Il negozio al corso“, tra tutti gli Shoah-movies forse il più alto e straziante. Correva l’anno anno 1965 quando dalla Cecoslovacchia sovietizzata arrivò questo capolavoro oggi dimenticato che racconta di uno Schlemiel ariano, troppo stupido per essere cattivo, cui viene affidato il negozio di bottoni espropriato a una vecchia ebrea da tempo sconnessa dalla realtà (Ida Kaminska, grandissima, nome storico del Teatro Yiddish). Fuori, i rastrellamenti i nazisti. Lui si impietosisce, la nasconde, cerca di preservarla dalla deportazion. Lei non si salverà. I giocattoli di TS3 si nascondono sempre, si nascondono dappertutto. Si salvano. Però che angoscia.

"Il negozio al corso", Cecoslovacchia, 1965: tra i primi e più grandi film sull'Olocausto

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