I MIEI DIVX (partiamo da SOLARIS, BRONSON e qualcos’altro)

Il bello dei DivX è che puoi rovistare nella storia del cinema pescando oggetti filmici persi, rimossi, dimenticati, mai visti, invedibili, eccentrici. Ormai ne ho un bel po’ sul mio hard-disk che, per quanto capiente, tra poco rischia di scoppiare. Non so voi, ma i DivX io poi non riesco a smaltirli, li accumulo senza guardarli tutti. Mi devo dare una mossa perché di titoli notevoli nella mia Divx-teca ce ne sono ed è un peccato trascurarli. Ve ne presento quattro, tanto per incominciare.

1) HASSAN E MARKUS, un film egiziano del 2008 con Adel Iman e Omar Sharif. Regia di Ramy Imam. Solo in arabo.

Omar Sharif è Mahmoud, il pio musulmano di "Hassan e Markus"

Studio arabo da un anno e mezzo, lingua ostica, e dare ogni tanto un’occhiata a film in lingua originale un po’ aiuta, se non altro addestra a percepirne il suono. Poi sono interessato da tempo alla cultura arabo-islamica, in particolare dell’Egitto, un paese che ha anche una grande tradizione di cinema. I film prodotti negli studi del Cairo hanno dominato per decenni l’intero mercato arabo, dal Marocco all’Iraq, spaziando dal genere principe, il melodramma, all’avventuroso al musical alla commedia realista. Da qualche anno il cinema egiziano cerca di riprendere l’egemonia dopo un periodo non brillante e “Hassan e Markus” è stato uno dei colpi migliori messi a segno, un blockbuster in patria e fuori. I motivi per vederlo sono parecchi. Innanzitutto c’è il ritorno del leggendario Omar Sharif, ormai quasi ottantenne ma sempre bellissimo e charming. Poi c’è Adel Imam, divo assoluto della commedia alla cairota. Soprattutto, il film tratta il tema della convivenza tra religioni e dell’intolleranza. Scusate se è poco.

Una scena con Adel Imam

Il plot: Mahmoud (Sharif) è un pio musulmano, Boulos (Imam) un teologo cristiano-copto. Entrambi vengono fatti segno di attentati dai fondamentalisti delle loro religioni. Entrano così in un programma speciale di protezione, il musulmano si finge cristiano, il cristiano condurrà apparentemente una vita da musulmano. Si innesca così una classica e godibile commedia degli equivoci che ha sfondato il box office. Critiche le comunità cristiane. Mettere sullo stesso piano l’intolleranza verso copti e musulmani, dicono, è iniquo perché distorce la realtà egiziana dove sono i cristiani di gran lunga a soffrire maggiormente. È comunque meritorio l’aver portato nel cinema popolare arabo un tema del genere, e in chiave di commedia.

SCENE

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2) BRONSON, di Nicolas Winding Refn, con Tom Hardy, Hugh Ross, Juliet Oldfield. Gran Bretagna, 2009.

Tom Hardy, il protagonista.

Del neoquarantenne danese Refn si parla ormai come di un maestro del nuovo cinema europeo. Il salto l’ha fatto con la trilogia “The Pusher“, cupissimo referto necrologico di una Copenaghen criminoide per cui si son sprecate tutte le definizioni: pulp, noir, tarantiniano.

"Bronson", una scena.

L’ultimo suo film è “Valhalla Rising“, presentato l’anno scorso fuori concorso a Venezia. A mio parere, un capolavoro. Un Conan visto con l’occhio di Dreyer. Tra Trilogia e Valhalla, Refn ha trovato il tempo di girare questo “Bronson”, dramma carcerario su una ragazzetto delinquente che si trasforma in avanzo di galera aduso a ogni infamia. Qualcosa di non dissimile da “Un prophète”. Stile smagliante, neopop.

TRAILER

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3) LO STUDENTE DI PRAGA (Der Student von Prag). Un film di Stellan Rye con Paul Wegener, Lyda Salmonova. Film muto, Germania 1913.

Film fondativo del cinema tedesco. Impensabile la stagione espressionista senza questo incunabolo del 1913 ambientato nella Praga più sinistra che magica di un secolo prima, dove lo squattrinato studente Balduin vende la propria immagine riflessa nello specchio.

Verrà perseguitato dal suo doppio, come esige ogni storia di contratti maligni e mefistofelici. Ricorda Poe, naturalmente, specie quel “William Wilson” da cui Louis Malle trasse il suo bellissimo episodio di “Tre passi nel delirio”. Converrete poi che parlare di “vendere l’immagine” suona assai contemporaneo. Non ho ancora visto il mio Divx, è una copia senza suono aggiunto, sarà un esercizio di ascesi cinefila.

Una didascalia dello "Studente di Praga"

4) SOLARIS, di Andrej Tarkovsky. Con Donatas Banionis, Natal’ja Bondarčuk, Hari Jüri Järvet. Russia 1972.

Allora, anno 1972, si disse: è la risposta sovietica allo strapotere hollywoodiano-autoriale di “2001, Odissea nello spazio”. Così, costretto a un impari confronto, “Solaris” sembrò ai più un film di fantascienza sfigato e poverissimo, come uno Sputnik con cagnetta Laika a fronte dell’Apollo in missione lunare degli americani. Errore. Con il passare dei decenni il duello l’ha vinto Solaris, grazie a quella genialità tarkovskiana di riportare la tecnologia al livello dell’umano e dell’organico, anzi del biologico, che ha influenzato e prefigurato tutto il cinema spaziale successivo, da “Alien” all’ultimo “Star Trek” di J.J. Abrams. Per non parlare del bellissimo, notevolissimo “Moon” di Duncan Jones, che è poi il figlio talentuoso e cinefilo di David Bowie. La storia di “Solaris”, sogni e incubi che si materializzano in una stazione spaziale, farebbe felice anche certi autori-registi d’oggi tipo Nolan o Gondry.

Il film di Tarkovsky è da vedere, rivedere e rivedere. Capolavoro. Film assoluto, seminale, epocale. Ogni inquadratura di Tarkovsky, qui e negli altri film, ma soprattutto qui, respira come un organismo vivente. Cinema che diventa carne.

SCENE

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