Prince of Persia – Le sabbie del tempo
Un film di Mike Newell. Con Jake Gyllenhaal, Ben Kingsley, Gemma Arterton, Alfred Molina, Steve Toussaint.
“Prince of Persia”: quando il cinema diventa geopolitica
Il produttore Jerry Bruckheimer – movie mogul anni ’80 di titoli come “Flashdance” e “Top Gun” – ci puntava per riprendersi da certi suo disastri recenti tipo “I love shopping”. Ma “Prince of Persia. Le sabbie del tempo”, il film dell’agognato riscatto, ha fatto flop. Miserrimi gli incassi negli Usa, se paragonati alle ambizioni di casa Disney, cui il progetto fa capo, e ai dollari investiti. Forse i teenager americani non si sono ritrovati in un popcorn-movie tratto sì da uno dei loro adorati videogames, ma tropppo esotico. O forse è stata sbagliata la scelta di trasformare un divo degli arthouse movies quale Jake Gyllenhaal in avventuroso eroe da blockbuster fracassone. Anche perché, diciamolo, il Gyllenhaal di “Prince of Persia” in versione Big Jim è imbarazzante (e imbarazzato), un pupazzone che ha sempre l’aria di essere finito nel posto sbagliato. Impietose le cifre americane: 89.317.852 dollari incassati finora, e la prospettiva di non prenderne altri (in attesa dell’home video naturalmente). Un risultato che ripaga a malapena le spese di promozione.
Ma la sorpresa è arrivata dal resto del mondo. Fuori dal mercato nordamericano “Prince of Persia” ha raccolto la ragguardevolissima cifra di 237.400.000 dollari. Di solito, la ripartizione degli incassi per film di questo tipo è 40/50% in America, 60/50% nel resto del mondo. Qui invece siamo al 72,7% a fronte del 27,3% in patria. Tanto per fare un confronto che evidenzia la stranezza del caso “PoP”, “Iron Man 2“, uscito quasi in contemporanea, divide i suoi incassi quasi equamento tra mercato interno (50.4%) e estero (49,6%).
Se poi si va a vedere il box office dei singli paesi si rimane esterrefatti: “Prince of Persia” ha sfondato in Egitto, Turchia, Nigeria, Hong Kong, Bahrein, Marocco. Flop in casa, ha funzionato invece molto bene in Asia e, cosa ancora più sorprendente, nei paesi di cultura islamica. “PoP” non piace in America, ma strapiace dove l’America non è per niente popolare e la bandiera stelle-e-strisce viene spesso bruciata per strada. Paesi che, nel film di Newell, tra l’altro girato in Marocco, ritrovano forse tra dune e cammelli e principesse velate qualcosa della propria identità. L’eroico Prince of Persia come spada dell’Islam, riscatto, anche se solo sul piano dell’immaginario filmico, delle platee mediorientali? Il successo-insuccesso del film di Newell, lo squilibrato esito al box-office, ci dice che, nonostante la globalizzazione, il mondo resta ancora disomogeneo.
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