Se n’è andata a 84 anni Patricia Neal, una grande e anomala attrice. La sua interpretazione di “Hud il selvaggio” le procurò un Oscar. E rimarrà. Ma forse il suo film più grande è stata la sua vita
Se ne va un altro pezzo di cinema. Del cinema che abbiamo tanto amato. Patricia Neal è morta ieri, a 84 anni, a Martha’s Vineyard. Un’attrice anomala, che ha attraversato decine di film senza mai cedere a quella macchina produttrice seriale di cliché che era Hollywood. E che ha sempre scelto – o si è fatta scegliere da – film eccentrici, laterali, poco mainstream, coraggiosi, film che contenevano un guizzo di diversità cui lei prestava il suo volto da non-pupattola, severo, quasi naturalmente stilizzato.
Non è mai stata un’icona popolare, Patricia Neal, ma ha segnato con la sua presenza, e con quel volto che quando lo vedevi non lo dimenticavi più, film che rimarranno.
Aristocratica, distante, poteva apparire dura. Forse per questo fu utilizzata più volte per ruoli difficili e di non immediata simpatia che altre attrici non avrebbero mai avuto l’ardire di accettare. Come in Un volto nella folla di Elia Kazan, dov’era una giornalista spregiudicata e manipolatrice, o ancora in Colazione da Tiffany, in cui le toccò essere l’antagonista di Audrey Hepburn nella parte della ricca amante del gigolò George Peppard. Tra i suoi titoli storici, anche il fantascientifico Ultimatum alla terra di Robert Wise, del 1951, un caposaldo della sci-fi, riverito e omaggiato da tutti gli appassionati.
Negli ultimi anni la si è vista poco, pochissimo. Per la malattia (un tumore al polmone), ma anche per quella sua sensibilità aristocratica che la teneva lontana dalle proposte facili. L’ultimo titolo di un certo rilievo resta La fortuna di Cookie, un Altman non dei maggiori ma piuttosto godibile del 1998.
Ma per me Patricia Neal è due film, La fonte meravigliosa e, soprattutto, Hud il selvaggio. Ero ragazzo quando la vidi in Hud, 1963, un impegnativo bianco e nero di Martin Ritt con un Paul Newman che, da superstar qual era, dominava il film e debordava ovunque, senza però riuscire a mettere in ombra il carisma della Neal. Strana storia, Hud, un mélo alla Tennessee Williams – ma senza Tennessee Williams – di passioni forti, anime selvagge che si incontrano, si scontrano e si fanno del male pur amandosi. Siamo all’Ovest, in un ranch con una padre-patriarca, un figlio ribelle e narciso (Paul Newman, ça va sans dire) e un nipote dall’animo puro (Brandon DeWilde). Tra i due giovani maschi di casa c’è lei, la Neal, la governante che li ha visti crescere ma che sa essere ancora attrattiva, da tutti e due voluta, forse desiderata. Il duetto/duello tra Neal e Newman è l’asse drammatico del film e trasmette allo spettatore una tensione continua (finirà male, in un tentato stupro). Me lo ricordo ancora, il volto disilluso, amaro di Patricia Neal. Il senso di sconfitta ma non di resa che riusciva a comunicare. Ecco, ci sono delle visioni, dei momenti di cinema che incidono i tuoi neuroni e non se ne vanno più, e la Patricia Neal di Hud il selvaggio per me è di quelle visioni. Senza esagerare, una delle interpretazioni femminili che hanno segnato la mia vita di spettatore. Non sono stato il solo però, visto che per Hud Patricia Neal razziò tutti i premi disponibili fino a vincere nel 1963 l’Oscar come migliore attrice protagonista.
Ho incontrato solo un altro suo film di analoga potenza. Parlo della Fonte meravigliosa, anno 1949, di King Vidor. Che ho recuperato in anni recenti in dvd sull’onda dell’interesse per quella eccentrica, inclassificabile scrittrice-pensatrice che fu Ayn Rand: anarco-libertaria estrema, fondatrice della cosiddetta filosofia oggettivista, transfuga dalla Russia bolscevica in America, e da allora ferocemente anticomunista. Ideologa del primato assoluto dell’individuo e della sua potenza creatrice, del suo diritto a spezzare ogni catena collettivistica. Uno strano pensiero, quello della Rand, che mescola superomismo, liberalismo economico radicale e anarchismo. La fonte meravigliosa di King Vidor è tratto dal suo romanzo più famoso, che fu bestseller in tutto il mondo. Protagonista, un architetto che sfida ogni convenzione, modellato su Frank Lloyd Wright, un innovatore che cerca di imporre la sua visione rivoluzionario contro tutti, un titano che si erge contro il conformismo estetico. Nella versione cinematografica è Gary Cooper e a sostenerlo c’è la moglie di un editore, pazzamente innamorata di lui e delle sue idee: Patricia Neal. Il film di Vidor è magniloquento, oggi improponibile, ma è un bizzarro, ipnotico oggetto filmico da cui non riesci a staccare gli occhi. Un film perfino folle, in cui la diversità naturale di Patricia Neal trova una collocazione perfetta.

La Neal con il marito, lo scrittore di libri per l'infanzia Roald Dahl. Dopo 30 anni di matrimonio e cinque figli, lei scoprì che lui la tradiva con la sua migliore amica e divorziarono
Fu una vita complicata, la sua. Il primo, travagliato amore fu con Gary Cooper, conosciuto sul set della Fonte meravigliosa. Ma lui era sposato, e la moglie Veronica, venuta a sapere della relazione, inviò a Patricia un telegramma chiedendole di interromperla. La Neal rimase anche incinta di Cooper ma, per non complicarne ulteriormente la vita familiare, preferì abortire: così almeno riferiscono alcuni biografi. Nel 1951, in casa dell’ultra liberal scrittrice e sceneggiatrice Lilian Hellman, conosce Roald Dahl, inglese ex pilota della Raf, grande seduttore soprattutto di signore altolocate e dal cospicuo conto in banca e, come rivela una biografia che sta per uscire in Inghilterra su di lui, agente dei servizi segreti britannici. Un personaggio complicato che sarebbe poi diventato un geniale scrittore di racconti per l’infanzia (sì, è proprio il Dahl di La frabbrica di cioccolato). Patricia se ne innamora e lo sposa nel 1953. Una grande storia che dura trent’anni, dal 1953 all’83. Dal matrimonio nascono cinque figli, ed è proprio durante la gravidanza del quinto che Patricia ha ben tre aneurismi cerebrali che la lasciano in coma per tre settimane e la lesionano pesantemente. Il 4 agosto 1965 ha una bambina, Lucy, perfettamente sana. Affronta con coraggio una dura riabilitazione, reimpara a camminare e a parlare, torna al cinema con La signora amava le rose che le varrà nel 1968 una nomination all’Oscar. (Curiosità: di questa saga familiare fa parte anche un altro nome famoso, la top model inglese Sophie Dahl, figlia di Tessa, una delle figlie della coppia Patricia Neal-Roald Dahl).
Ma all’inizio degli anni Ottanta il sodalizio tra Patricia e il marito entra in crisi, lei scopre che lui la tradisce da molto tempo con la sua migliore amica, ed è divorzio. Un epilogo amaro per una storia che, a rivederla oggi, appare monumentale, sia per la statura dei due, sia per i drammi che funestarono la loro vita insieme, non solo la malattia di Patricia ma anche la scomparsa prematura della figlia Olivia per un’infezione virale alle vie respiratorie e l’incidente occorso al figlio Theo di soli quattro mesi, che l’avrebbe lasciato menomato per sempre. Una storia che sa di romanzo, bigger than life.
Forse il più grande film di Patricia Neal è proprio la sua incredibile vita. E di questa vita fa parte anche l’incredibile no che disse a Mike Nichols che la voleva come protagonista nel Laureato, nella parte che poi sarebbe andata ad Anne Bancroft. Accettando, sarebbe stata per sempre Mrs Robison, ma lei voleva essere solo Patricia Neal. Forse per questo disse di no.
CLIP DA “HUD IL SELVAGGIO”
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CLIP DA “UN VOLTO NELLA FOLLA”
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UN TRIBUTO
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