La prima parte di questa storia è in un precedente post. Cliccate qui.
Gli abitanti del villaggio che hanno assistito alle riprese del film o vi hanno partecipato da comparse si sono costruiti delle finte cineprese con pezzi di legno e microfoni di bambù. Come in rituale sacro e selvaggio, come in una di quelle funeree processioni della Settimana santa, rimettono in scena il film. Solo che stavolta la violenza è reale, le vittime della finzione diventano cadaveri che lasciano scie di sangue. I campesinos di Chinchero non sanno distinguere tra il reale e la sua rappresentazione, si uccidono perché così hanno visto fare sul set del western. Il prete del villaggio (un Tomas Milian arrivato dal cinema italiano e dagli spaghetti western tipo Tepepa sullo sperduto set andino di Hopper) chiede a Kansas di aiutarlo a fermare la strage. Ma la violenza non si attenua. Adesso il prete, in una spirale di fanatismo, individua nel cinema portato dagli yankees il responsabile dell’inquinamento morale della sua gente, e nello stuntman Kansas il rapresentante di quel male che viene da lontano. Incita il popolo di Chinchero ad assediare la casa in cui si è rifugiato lo stuntman e a catturarlo. Quello che succederà lo vediamo nella scena di apertura di The Last Movie, un flash forward, un salto nel futuro, con Kansas crocifisso, vittima sacrificale di quella rappresentazione collettiva.

Dennis Hoper con Michelle Phillips, cantante-attrice che ha un ruolo in "The Last Movie". Sul set si innamorano, si sposano. Ma il loro matrimonio dura solo otto giorni
Stop con il racconto. Ma ce n’è abbastanza per capire di che materia sia fatto The Last Movie. Il cinema americano come virus che porta alla violenza i puri, gli esclusi, i diseredati del mondo. O il contrario: il cinema che fa da detonatore alle pulsioni naturali, troppo naturali e violente, delle culture altre. In ogni caso, il cinema fa male. Anche questo è un attaccco portato da Hopper con The Last Movie al cuore di Hollywood, alla sua stessa ragione di esistenza. Ma The Last Movie va oltre il cinema, svela l’equivocità del mito rousseauiano del buon selvaggio e sembra suggerire che le fughe hippizzanti dalla civiltà verso il presunto stato di natura non possono che risolversi in un incubo.
C’è della lucidità, dunque, in The Last Movie. Che però si presenta a chi lo guarda come un film dalla narrazione non lineare, caotica, destrutturata, decostruita. Hopper confonde, mescola, sovrappone. Il film, come raccontò l’allora critico del New York Times Vincent Canby, è un continuo depistaggio dello spettatore. Flasback e flashforward, come appunto la scena iniziale della crocifissione. Piani spaziotemporali che si incrociano. Titoli in sovrimpressione. Visioni che non di distinguono dalla realtà. Perfino indicazioni volutamente sbagliate date al proiezionista.
La stessa lavorazione di The Last Movie fu caotica. Un sabba continuo di eccessi e sregolatezze di ogni tipo. Un inviato di Life fa visita a Dennis Hopper e sale fino a Chinchero, a pochi chilometri da Cuzco, a quasi tremila metri di altitudine. Ne esce un lungo reportage che descrive il clima di follia, il disordine che pervade il set. Quando il reporter incontra Dennis Hopper quasi non lo riconosce, è magrissimo, spettrale, ha perso almeno 15 chili. Gira cocaina dappertutto, si discute su quanto sia conveniente il prezzo lì rispetto a New York. Almeno dieci attori del film, scrive il giornalista, ne fanno uso. Poi acido, erba, speed. Una ragazza è in preda all’Lsd, uno completamente fuori di testa sta per appiccare il fuoco a un tizia. Stati alterati della coscienza e promiscuità sessuale. Incomincia la leggenda maledetta di The Last Movie. A Chinchero arrivano amici e sodali di Hopper, per partecipare al film anche solo con una comparsata. Peter Fonda viene accolto come un re. Ci sono anche l’attore-ballerino Russ Tamblyn, Sylvia Miles, Kris Kristofferson al suo esordio nel cinema, che inciderà un pezzo per la colonna sonora, il futuro regista indie Henry Jaglom, John Phillip Law, sì, proprio il Diabolik del film di Mario Bava, Dean Stockwell. A scorrere i credits si resta basiti.

"The American Dreamer", il documentario girato a Taos, New Mexico, mentre Dennis Hopper lavorava al montaggio di "The Last Movie"
Di questa follia costruttiva-distruttiva fa parte anche la storia d’amore che Dennis ha con una delle intrerpreti del film, la ex cantante dei Mama’s and Papa’s Michelle Phillips. Si fiudanzano sul set, si sposeranno poco dopo e il loro sarà uno dei matrimoni più brevi della storia di Hollywood: dopo soli otto giorni si lasciano. E anche questo ha contribuito ad alimentare la leggenda di The Last Movie.
Dennis Hopper, lasciato il Perù, si ritira con ben 4o ore di girato nella sua casa di Taos, New Mexico, per il montaggio. La Universal lo sollecita, ma lui sembra in preda al delirio, fa, disfa, rimonta, distrugge, come in uno stato di possessione. È fisicamente e psichicamente prostrato, non regge più agli eccessi, è in preda alla drug e alla sex addiction, come testimonia il documentario The American Dreamer girato proprio in quel periodo a Taos su di lui. Invoca l’aiuto del regista cileno Alejandro Jodorowsky, allora celebrato autore di El Topo, che accorre e in una notte monta il film. Dirà poi Jodorowsky in un’intervista rilasciate nel 2006, che il materiale girato era assolutamente fantastico e che lui gli diede forma con un bellissimo montaggio, ma che Dennis Hopper disfece anche quello per consegnare all’Universal un’altra versione. Jodorowsky poco carinamente aggiunge dettagli tipo che Dennis Hopper puzzava in modo insopportabile, non si lavava e non si cambiava mai la camicia.
Quando The Last Movie arrivò nei cinema il fiasco fu quello che sappiamo e abbiamo già raccontato nella prima parte di questa storia. Adesso tocca a Venezia farci capire se è solo un film maledetto e maledettamente sbagliato o il capolavoro che Hopper sognava di realizzare. Speriamo nella seconda. Speriamo anche che non gli rimettano quel brutto titolo con cui lo ribattezzarono quando a suo tempo uscì in Italia, Fuga da Hollywood. Dennis Hopper si merita di meglio.
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