“Affetti e Dispetti” (La Nana), di Sebastián Silva. Con Catalina Saavedra, Claudia Celedón, Mariana Loyola, Alejandro Goic, Anita Reeves.
Cile/Messico 2009.
Affetti e dispetti (orribile titolo italiano) è un film cileno che ha preso premi ovunque, dal Torino Festival al Sundance. Racconta di Raquel, serva rancorosa e vendicativa, che difende come una tigre il suo territorio, la casa in cui lavora. Parte bene, con la giusta cattiveria e ironia. Poi purtroppo si ravvede e diventa parabola edificante
Il cinema cileno va piuttosto forte. L’onda è cominciata con Tony Manero, che nel 2008 vinse a Torino (e che io trovo sia fra i film più sordidi degli ultimi anni, ma è un’opinione personale, credo poco condivisa): adesso il suo regista Pablo Larrain viene promosso in serie A, a Venezia, dove presenta in concorso il suo nuovo Post mortem. E un paio di mesi fa è arrivato in qualche sala italiana, anche se io l’ho visto solo l’altro giorno, questo Affetti e dispetti, del regista made in Santiago Sebastián Silva.
Mi aspettavo un film di rango, dopo le recensioni quasi entusiastiche che mi era capitato di leggere, comprese quelle dei siti americani (Rotten Tomatoes ha registrato per La nana, questo il titolo originale che vuol dire la tata, la governante, il 92% di reviews favorevoli, uno score altissimo). Vedendo poi il cursus honorum del film c’è da rimanere basiti: premi ovunque, tra cui uno al festival di Torino, addirittura due al Sundance e una nomination ai Golden Globe. Eppure Affetti e dispetti delude. Un film decisamente overrated, sopravvalutato.
A parte l’ignominia del titolo italiano (capisco che per politically correctness non si poteva tenere La nana, ma qualcosa di meglio si poteva trovare), il film è furbo e accattivante ma privo di un centro di gravità, pencolante nelle sue varie fasi tra commedia, farsa e ritratto psicologico.

L'affiche americana. Negli Usa il film ha ottenuto una nomination ai Golden Globe e due premi al Sundance Frestival
Parte bene, La nana (uso il titolo originale perché quello italiano proprio non si può), con la giusta perfidia, presentandoci Raquel, torva governante-colf tuttofare di una famiglia borghese in un’imprecisata città cilena, alle prese con una casa troppo grande, i due padroni (ma sì, usiamola questa parola fuori corso ma così esatta) Pilar e Mundo e i loro quattro figlioli. La festeggiano per il compleanno e lei fa la musona e in camera sua butta il golf che le hanno regalato dopo aver visto che la griffe non è quella che si aspettava. Odia la figlia grande, troppo giovane e carina, troppo ricca, la mattina presto le passa l’aspirapolvere apposta davanti alla porta per non farla dormire (i dispetti del famigerato titolo). Siamo dalle parti della dialettica servo-padrone, quella del Goldoni cinico con i suoi servi beffardi e senza scrupoli. Quella dello Genet delle Bonnes o dello Chabrol del Buio nella mente (entrambi ispirati allo stesso fattaccio di cronaca nera, le due sorelle Papin che nella Francia anni Trenta massacrarono i loro datori di lavoro). E c’è qualche eco, se non proprio del Servo di Losey-Pinter, almeno di Gosford Park di Altman.
Poi il film ha la prima virata quando la padrona, che poi è una signora molto comprensiva che avercene, rendendosi conto che Raquel sta schiattando le mette accanto come aiuto una ragazza peruviana. Scatta in Raquel l’istinto territoriale, sicchè alla poveretta ne farà di ogni spingendola ad andarsene. Addio dialettica servo-padrone, qui si passa alla commedia. Che diventa commediaccia quando a Raquel affiancano un’energumena, con un’escalation di sgarbi reciproci da rasentare la guerriglia e, purtroppo, la farsa. Finché non arriva Lucy, la quale saprà come prendere Raquel, penetrare nella sua corazza e farsela amica. E che la farà cambiare radicalmente. Apoteosi.
Qui il film vira virtuosamente, ma purtroppo annoiandoci, verso il racconto di formazione e autocoscienza, per quanto tardivo, di una donna che finalmente scopre se stessa ecc. ecc. ecc. Così La nana tradisce la sua ottima partenza finendo in parabola edificante.
Peccato. Perché il regista Sebastian Silva, 30 anni soltanto, ci sa fare, costruisce bene la narrazione e usa al meglio i limitati mezzi che ha a disposizione, ricorrendo ovviamente, come tutti i suoi coetanei che fanno cinema, alla camera a mano, alle inquadrature mosse e sghembe che fanno tanto realtà ma proprio quella vera. Poi c’è Catalina Saavedra, la straordinaria protagonista, che a Raquel sa dare quei modi rudi e scostanti, quella faccia cupa, quello sguardo opaco quasi omicida, che ci fanno intuire quale notevole film sarebbe potuto essere La nana.
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