Recensione: “Il rosario sbagliato”, un film turco che sembra il primo Olmi

Lui è un muezzin, lei è cattolica. Sono vicini di casa a Istanbul, tra loro ci sarà qualcosa di simile all’amore. Sembra un film del primo Olmi, questo Uzak Ihtimal (Il rosario sbagliato) visto a Milano nella rassegna Crossing the Bridge. Un film di quel nuovo cinema turco che sta vincendo premi dappertutto, da Berlino a Rotterdam a Venezia.

Uzak ihtimal (Il rosario sbagliato), regia di Mahmut Fazil Coskun. Con Nadir Saribacak, Gorkem Yeltan, Ersan Uysal. Turchia 2009.

IL TRAILER
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Il cinema turco sta marciando forte, in sintonia con lo sviluppo economico e l’accresciuto peso geopolitico del paese. La Turchia sta diventando una potenza regionale e lo è già nel cinema. I suoi film e le serie tv egemonizzano gli schermi di tutta l’area del Levante e del Centro Asia. Da noi arriva poco, come al solito. In questi giorni la rassegna Crossing The Bridge (da un titolo del regista tedesco di origine turca Fatih Akin), organizzata a Milano da MiTo e dal Milano Film Festival, cerca di rimediare alla lacuna proponendo titoli nuovi e seminuovi e alcuni già classici della cinematografia d’autore turca. In testa, ovviamente ,molti film del maestro riconosciuto del cinema made in Istanbul, quel Nuri Bilge Celyan che ci ha dato i meravigliosi Uzak e Le tre scimmie. Prova dell’ottimo stato di salute dei film venuti dal Bosforo sono i premi ottenuti recentemente in vari Festival. Il più importante è l’Orso d’oro all’ultimo Festival di Berlino a Bal (Miele) di Semih Kaplanoglu, mentre è di pochi giorni il premio De Laurentiis Opera Prima andato a Venezia a Seren Yüce per Cogunluk. E a Rotterdam, il più importante festival europeo del cinema indipendente cui concorrono soprattutto opere prime e seconde, nel 2009 il Tiger Award è andato a Uzak Ihtimal (Il rosario sbagliato) di Mahmut Fazil Coskun. Ed è proprio di questo film, visto ieri qui a Milano, che andiamo a parlare.

Il protagonista Musa, di mestiere muezzin

Non capita spesso di vedere un film con un muezzin. È questo il mestiere di Musa, il protagonista di Uzak Ihtimal, ragazzo perbene e molto religioso appena arrivato dall’Anatolia nella tentacolare Istanbul (la contrapposizione tra la metropoli che fu capitale di un impero e la più tradizionale Anatolia è una delle costanti del cinema turco), dove in una moschea salmodierà i versi coranici nelle ore prestabilite chiamando i fedeli alla preghiera. Apprendiamo (il cinema serve anche a questo, a capire realtà lontane) che il muezzin non è un sacerdote – non esistono ordini religiosi nell’Islam – piuttosto una specie di sacrestano che si occupa della gestione e manutenzione della moschea, tant’è che vediamo Musa passare diligentemente il bidone aspiratutto sui tappeti calpestati dai fedeli. Siamo a Galata, il quartiere già genovese di Istanbul, stradine che salgono sopra il Corno d’oro e il Bosforo, area tradizionalmente abitata oltre che da turchi musulmani anche da cristiani, ortodossi e cattolici, e da ebrei. Sotto la Torre circolare che domina l’area, ci sono piccole moschee, ma anche sinagoghe e chiese che quasi non vedi e si celano all’interno (l’Islam vieta che i campanili sovrastino i minareti). È qui che si installa Musa. Scoprirà di avere per vicina un’austera ragazza cattolica di nome Clara che cura una suora anziana e ormai morente. Un’altra storia si aggiunge, quella di Yakup, rivenditore di libri vecchi e legato a Clara in un modo misterioso. Il buon Musa si innamora della vicina, ma come dirlo a lei? Tra molti silenzi e scarne parole si conoscono, un po’ si frequentano. Il rosario sbagliato non è molto più di questo, un film ad apparente bassa intensità ma che ti avvolge e non cala mai di tensione, lasciando parlare le facce e i corpi, e le cose, quegli interni domestici che sanno restituire un mondo e un modo di essere. Poi c’è Istanbul, città-personaggio e non solo paesaggio e fondale, dove in qualunque punto piazzi la macchina da presa fai sempre centro. Ci sono, come in molti film turchi, le passeggiate lungo il Corno d’oro e il Bosforo, le panchine sul mare, lo skyline con le cupole e i minareti delle grandi moschee. Uzak Ihtimal ricorda il pudore dei sentimenti di certo Olmi, quello del Posto e soprattutto di quell’incanto remoto che è I fidanzati. Si racconta l’amore, in questo sommesso ma non dimesso film turco, attraverso i gesti minimi, gli sguardi di due persone ciascuna incapsulata nella propria fede religiosa, fede che tiene sotto controllo la sessualità, la imbriglia e la incanala nelle poche forme d’espressione consentite. C’è una pulizia e una moralità in questo tipo d’amore che noi abbiamo scordato e di cui si prova una certa nostalgia. Musa e Clara, benissimo incarnati dai loro interpreti, ci riportano a un quieto confronto tra uomini e donne che qui abbiamo perduto e che forse è un valore.
Naturalmente si è parlato di questo film del giovane Mahmut Fazil Coskun (36 anni) come di un manifesto della possibile coesistenza delle culture e delle religioni, ma a mio parere si tratta di un abbaglio. Galata, dove si svolge la storia, è luogo multiculturale, in cui però l’egemonia turco-musulmana non è mai in discussione e le minoranze sono solo presenze discrete. Va pure ricordato che proprio una sinagoga di Galata, la Neve Shalom, a poche decine di metri dalla casa in cui abita il protagonista del film, fu bersaglio nel novembre 2003 di un attentato islamista che provocò 23 vittime. Il film se mai ci mostra come la buona volontà dei singoli possa fare poco contro le potenti barriere culturali che dividono. Il bonario e non aggressivo Islam di cui Musa fa parte insieme ai frequentatori della sua piccola moschea, resta nondimeno rigorosamente rispettoso delle proprie regole e non consente infrazioni. Quando Musa lascia intuire all’imam di essere innamorato la prima domanda che gli viene fatta è: ma è religiosa? E lui non ha il coraggio di dire che Clara non è nemmeno musulmana. Parlandone con un parente, peraltro un tipo non proprio rispettoso dei precetti religiosi, si sente dire: bene, se è cristiana convertila, acquisterai merito agli occhi di Dio. Chiaro? Difatti la mai espressa storia d’amore tra i due finisce in nulla e non può che essere così.

Clara

Resta lo sconforto a Musa e a noi spettatori, e il nostro disagio non è solo per l’unhappy end, ma per la consapevolezza di come, anche stavolta, sia stato impossibile attraversare quel ponte tra le civiltà. Eppure il regista ci aveva provato e ci aveva creduto, mostrandoci la scena fin troppo didascalica, quella che dà il titolo al film, in cui Musa, che aveva raccolto il rosario cristiano perduto da Clara, si ritrova in moschea per errore a usare quello per la preghiera anzichè il rosario musulmano. Messaggio trasparente: Dio è uno solo, lo stesso di cristiani e musulmani, lo si può pregare in modi diversi ma l’importante è credere. Però anche il regista alla fine del suo film si arrende all’impossibile dialogo.
Uzak Ihtimal, raccontando l’impraticabilità dell’amore ostacolato da forze esterne, rientra pienamente nel paradigma del mélo, anche se il regista con il suo stile disadorno ha cercato di despistarci per tutto il film (ma echi di mélo erano già emersi, prima del finale, attraverso gli accenni al passato di Clara e di Yakup).

Il regista Mahmut Fazil Coskun

Ultima annotazione, il regista Mahmut Fazil Coskun prima di darsi al cinema si è laureato in ingegneria elettrica, esattamente come ingegnere elettrico è anche il grande Nuri Bilge Ceylan (altra coincidenza: alla Edison elettrica lavorava Ermano Olmi, il suo esordio Il tempo si è fermato raccontava proprio di un uomo isolato in montagna a lavorare in una diga della Edison). Nel Rosario sbagliato l’elettricità è elemento narrativo e deus ex machina: la luce va e viene, Musa deve chiedere a Clara un cacciavite per riparare una spina ed è il loro
primo contatto, quando Musa resta intrappolato nell’ascensore bloccato sarà lei a liberarlo. Ci volevano gli ingegneri elettrici, per accendere e far funzionare molto bene il motore del nuovo cinema turco. 

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