La via crucis di una clandestina russa in Belgio: la polizia la scopre, la separa dal figlio, la porta in un Centro di permanenza temporanea (questa ipocrita invenzione della nuova Europa che ha paura di usare la parola carcere). Storia esemplare di una condizione (dis)umana. Troppo esemplare. Il regista Olivier Masset-Depasse è pieno di buone intenzioni, ma non riesce ad andare oltre il racconto dimostrativo.
Illégal, un film di Olivier Masset-Depasse. Con Anne Coesens, Esse Lawson, Gabriela Perez, Alexandre Golntcharov, Christelle Cornil.
Belgio 2010. Vincitore del premio Sacs alla Quinzaine des Réalisateurs di Cannes 2010.
Bastano le buone intenzioni per fare un buon film? La domanda è antica, ma ce la ripropone pesantemente Illégal, film del belga Olivier Masset-Depasse che sta facendo la sua strada nel circuito art house internazionale dopo aver vinto il maggio scorso il premio Sacs alla Quinzaine des Réalisateurs a Cannes, e che rappresenterà il Belgio agli Oscar 2011. Illégal è la storia, ma sarebbe meglio dire la via crucis, di Tanya, un’insegnante russa che da otto anni vive in Belgio clandestina con il figlio Ivan. Ha un lavoro, degli amici, una vita che si direbbe normale se non fosse per la sua condizione di illegalità che la espone al rischio costante di essere arrestata dalle forze dell’ordine. Cosa che puntualmente accade. Viene portata in un Centro di permanenza temporanea, questa invenzione ipocrita dell’Europa per rinchiudere i clandestini senza chiamare carcere il luogo in cui sono detenuti. Il figlio sfugge alla retata e resta fuori, affidato a un’amica. Incomincia il viaggio da incubo di Tanya nella burocrazia statale, nella violenza psicologica e anche fisica della detenzione. Deve nascondere in ogni modo la sua identità. Se la scoprono verrà espulsa, dovrà tornare in Russia e lasciare in Belgio il figlio, ed è ciò che vuole evitare. Per questo non rivela mai il suo nome al poliziotto che la interroga, per questo, in una delle scene più dure, si brucia i polpastrelli con il ferro da stiro.
Conosceremo attraverso di lei le compagne di sventura rinchiuse nel centro, tutte con la loro storia difficile, conosceremo l’africana che da anni gira da un centro all’altro e sa ormai tutti i trucchi per mettere in scacco la burocrazia, anche se alla fine sarà lei a perdere la sfida. Corpi e volti e occhi dietro i reticolati, bambini prigionieri insieme alle madri, le file al telefono per chiamare fuori, poliziotti brutali ma anche un’agente sensibile che mollerà quel lavoro umanamente insostenibile. Oltre le mura del carcere (chiamiamolo col suo nome), le mafie che trafficano in clandestini, più brutali e spietate delle forze dell’ordine.
Possiamo non farci coinvolgere e commuovere dalla storia di Tanya? No che non possiamo, per non passare da cuori di pietra insensibili alle sofferenze dei nuovi schiavi, dei nuovi dannati della terra. Ecco, il film di Olivier Masset-Depasse per l’ansia di sostenere una buona causa finisce col chiederci la resa incondizionata, non ci lascia scampo, esige perentoriamente la nostra adesione. Come quei bravi militanti, però molesti e invadenti, che ti fermano per strada e ti rincorrono per farti firmare la loro petizione contro l’ennesima ingiustizia di questo sporco mondo. Illégal è bello e onesto verso gli immigrati clandestini riassunti idealmente nella sua protagonista, ma con noi spettatori gioca pesante. Ma in fondo questo può anche andar bene, non c’è da scandalizzarsi troppo, da sempre scrittori e narratori di ogni sorta cercano di ottenere la nostra attenzione e di scuotere le nostre intorpidite coscienze urlandoci miseri e sventure dei diseredati, da Dickens a De Amicis a Gorky e oltre. Solo che Olivier Masset-Depasse pecca – rispetto a quei maestri della narrativa, ma anche ad altri del cinema recente – nella costruzione drammaturgica, che si srotola prevedibile, in una storia che ambisce a essere esemplare e raccontare tutti i clandestini, l’intero fenomeno dell’immigrazione illegale, e finisce così col dimenticare il suo personaggio.
Tanya è solo una figura esemplare di una condizione (dis)umana, funzione narrativa in un discorso teorico, in un saggio espositivo e didascalico, non ha mai consistenza e vita proprie. Il regista belga ci coinvolge ma non riesce mai ad appassionarci e a convincerci davvero perché si limita nel suo film a registrare il reale, a restituircelo fedelmente come in in docu, anziché reinventarlo e riscriverlo in una storia. Il suo stile scarno, il suo rispetto per gli umiliati e offesi è un evidente richiamo al magistero filmico dei connazionali fratelli Dardenne, che con Il matrimonio di Lorna hanno affrontato pochi anni fa lo stesso tema dell’immigrazione clandestina. Solo che in Lorna i Dardenne nascondono il racconto a tesi sotto un trama avvincente (tra l’altro, è il primo film in cui i due fratelli registi abbandonano la camera a mano e lavorano su una solida sceneggiatura molto scritta e articolata), cosa che a Masset-Depasse non riesce, o che non vuole fare.
Non basta purtroppo mettere in scena didascalicamente una drammatica vicenda per interessare lo spettatore, occorre un impianto narrativo, che in Illégal latita. Viene in mente un altro film sull’immigrazione clandestina, Welcome del francese Philippe Lioret, che però il suo intento didascalico-pedagogico lo veicolava attraverso un’invenzione drammaturgica efficace, quella del ragazzo iracheno che vuole aggirare le dogane e raggiungere l’Inghilterra attraversando a nuoto la Manica. Di qualcosa del genere in Illégal non c’è traccia. C’è il calvario di Tanya, straziante, ma che purtroppo non basta.
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