Recensione: THE TOURIST è sbagliato e sballato, ma se diventasse un cult?

The Tourist, regia di Florian Henckel von Donnersmarck. Con Johnny Depp, Angelina Jolie, Paul Bettany, Timothy Dalton, Raoul Bova, Steven Berkoff, Christian De Sica, Neri Marcorè, Alessio Boni.

Angelina è Elise, Johnny Depp è Frank

Non funziona il tentativo di resuscitare il giallo-rosa alla Sciarada. Non funzionano Angelina Jolie e Johnny Depp, lei robotica e vitrea, lui imbolsito e imbarazzante nelle scene d’azione. Però alla fine anche di The Tourist qualcosa resta, pur se molto diverso da quello che si prefiggevano regista e interpreti.
L’hanno così maltrattato i critici, americani prima ed europei subito dopo, che quando finalmente lo vedi The Tourist fa quasi tenerezza e ti vien voglia di adottarlo, come un gatto abbandonato. In fondo, è capitato a tanti disastri cinematografici di essere rivalutati con il tempo e trasformarsi in cult o almeno in guilty pleasures (le due categorie confinano, ma non sono la stessa cosa). Ma perché possa diventarlo, questa performance della coppia Angelina Jolie-Johnny Depp deve superare un bel po’ di ostacoli. A partire dalla legnosità della regia del signor (ma sarà un barone baltico?) Florian Henckel von Donnersmarck, regista tedesco di quel Le vite degli altri che gli procurò premi da ogni dove, compreso un Oscar come migliore film straniero. Regista che qui, alle prese con una materia scivolosa e già di suo ambigua e inafferrabile come il giallo-rosa (da quanti anni non si tirava fuori dagli armadi della storia del cinema questa categoria?), non riesce mai ad assestare il film, passando dal thriller duro e puro alla romantic comedy e perfino al gotico senza mai decidersi, e con parecchi rumori e stridori nei cambi di marcia. Non ha, il pur evidentemente dotato Florian Henckel von Donnersmarck (con nomi così, vien da ringraziare chi ha inventato il copia-incolla), la capacità di oliare i raccordi, di passare con leggerezza e senza fastidi e scossoni per lo spettatore dall’ironico al drammatico al romantico. Non ha nemmeno un gran senso del ritmo, e questo lo si sente nei dialoghi che per essere davvero brillanti dovrebbero avere almeno una velocità doppia come insegna la grande commedia hollywoodiana degli Hawks, dei Cukor ecc. (si pensi solo al penoso scambio di battute tra i due sul treno). C’è però da dire che al posto del signor von eccetera, chiunque sarebbe incorso in un analogo fallimento, oggi di gente alla Stanley Donen o alla Lubitsch o alla Billy Wilder in giro non se ne vede, e Blake Edwards, dandoci il suo estremo addio qualche giorno, fa si è portato con sè – definitivamente temo – i segreti di cucina del giallo-rosa.
Ma soprattutto, per diventare un cult o almeno un guilty pleasure, The Tourist deve convincerci che Jolie e Depp non sono un disastro, e qui l’impresa si fa più difficile. Mai visto due peggio assortiti, una coppia che sembra voglia dimostrare scientificamente, quasi in un esperimento in corpore vili, che cosa “non” è la chemistry. Sono due elementi che in provetta si respingono, non si amalgano mai, creano fumi tossici e reazioni chimiche pericolose. Johnny e Angelina non si piacciono, forse si detestano, e ce lo trasmettono e ce lo fanno capire, purtroppo. Colpa soprattutto di lei, temo (lui mi pare ci metta un po’ più di buona volontà). Lei che ormai non è più un’attrice, non è nemmeno più una star ma un’icona della contemporaneità, una pura immagine e creatura mediatica, un modello di ruolo e di riferimento per legioni di giovani donne in tutto il mondo, adorata in quanto (dis)incarnazione assoluta della femminilità, con quelle labbra incredibili da sembrare finte – da cartoon, da videogame – quegli occhi, quel corpo anoressico (e che pure le ha consentito la maternità) fatto apposta per i più impossibili vestiti partoriti dalle menti degli stilisti. Angelina icona anche per aver conquistato Brad Pitt e formato con lui la coppia più bella del mondo e una famiglia di tutti i colori possibili, campionessa del politically correct. Angelina è andata troppo oltre la sua iniziale identità di attrice, è diventata puro simbolo e simulacro. Angelina ormai recita la parte di Angelina, non può essere un altro personaggio perché può solo interpretare se stessa. Da qui il senso di irrealtà che si prova vedendola in The Tourist. Solo nella seconda parte nel gelido simulacro si apre qualche rara crepa emotiva, ma per il resto Jolie porta in giro se stessa senza occuparsi e preoccuparsi della sua Elise e della storia. Non deambula, sfila, come una bambola meccanica, e in quel corpo perfetto ma irrigidito, in quegli occhi che qualcuno ha definito vitrei (Joe Morgenstern sul Wall Street Journal), c’è qualcosa di meccanico, di finto, di sinistro anche. Forse la sua intenzione o quella dei produttori o del regista, era di riportare alla luce ciò che è andato perduto a partire dagli anni Settanta, cioè il divismo vero, quello che nasceva dalla separatezza, dalla lontananza tra la star e il suo pubblico, e che permetteva al divo, alla diva, di assurgere appunto a una dimensione simile al divino. Tutto fu spazzato quando gli attori e le attrici si misero in testa di essere come la gente comune, annullando ogni aura e magia del loro ruolo. Angelina cerca di resuscitare quella gloria passata atteggiandosi a nuova diva assoluta, forse è l’unica oggi che seriamente possa tentare una simile impresa, ma non ce la fa, non può farcela. Non si è Audrey Hepburn o Grace Kelly o Sofia Loren volendolo essere, perché quei tempi, gli anni Cinquanta-Sessanta del secolo scorso, non sono più ripetibili. La distanza che Angelina pone tra sè e lo spettatore in The Tourist non la trasforma in una dea ma in una creatura aliena, il che è diverso e soprattutto non è cinema.
Con questa fragilità strutturale il film non può decollare. Non bastasse, Johnny Depp ci aggiunge colpevolmente del suo. Vero che deve interpretare il grigio everyman travolto da fatti e eventi più grandi di lui, ma era proprio necessario imbolsirsi così e mettere su tutti quei chili? Che quando fugge in piagiama sui tetti di Venezia vien da distogliere gli occhi tanto è goffo e imbarazzante (una sequenza del genere i vecchi tycoon di Hollywood non l’avrebbero mai fatta arrivare al pubblico). Lo script in certi momenti non aiuta, con dialoghi che vorrebbero rifare la gloriosa sophisticated comedy ma non ci riescono. Eppure la storia, ripresa dal film francese Anthony Zimmer, non è male. Una signora di nome Elise (Jolie) è inseguita da Scotland Yard e l’Interpol tutta, che attraverso di lei sperano di arrivare al suo amante, un tipo che si è fregato due bilioni (non milioni) di sterline di un boss mafioso e si è dileguato nel nulla col malloppo cambiando connotati grazie alla chirurgia plastica. Su un treno per Venezia, dove spera di ritrovare l’amato gaglioffo, Elise avvicina un anonimo turista americano (Depp) che ha la statura e la corporatura del desaparecido, in modo da far credere alla polizia che si tratta del ricercato e dirottare su di lui la caccia. Non è che l’inizio di un intrigo fatto di continui rovesciamenti, fino al colpo di scena finale (che però, se si tengono le antenne ben tese, già si intuisce a metà film).
Da qualunque parte lo si guardi o lo si prenda, The Tourist è un’operazione ambiziosa e folle. Pazza idea e disperata quella di riproporre oggi la leggerezza di Sciarada, Arabesque, Caccia al ladro, Intrigo internazionale. Non ci sono più le star, non ci sono più le storie, non c’è più soprattutto un pubblico disposto a crederci. Il film fallisce, e non poteva che essere così. Però alla fine, perché poi anche a The Tourist un po’ ci si affeziona, qualcosa rimane. Rimane il senso oscuro di una vicenda gotica di fantasmi (anche Jolie ha un’aria fantasmatica), di identità perdute, ritrovate, dissimulate e simulate, di volti paurosi che scompaiono sotto la maschera. Il tedesco von Donnersmarck, in un caso classico di eterogenesi dei fini, parte con l’intenzione di una commedia brillante ibridata al thriller e finisce col servirci un prodotto abbastanza angoscioso, inquietante, plumbeo e notturno, non molto dissimile dal suo Le vite degli altri (proprio vero che un autore non si allontana mai troppo da se stesso). Anche qui c’è l’ossessione dello spiare, del controllare a distanza, anche qui vite che sono scrutate e analizzate come insetti. The Tourist incomincia esattamente come il film precedente del regista tedesco, con alcuni poliziotti che manovrano un apparato tecnologico di spionaggio e osservazione. Dev’essere per quello che ai produttori è venuta l’idea di chiamare von Donnersmarck, dopo che vari registi e possibili interpreti erano saltati (compresi Charlize Theron e Tom Cruise).
Quello che non manca in The Tourist è l’amore per il cinema, non si sa se per merito di Florian Henckel von Donnersmarck o dei suoi sceneggiatori (tra i quali anche quel Julian Fellowes vincitore di un Oscar per Gosford Park, oltre che autore di libri riusciti come Snob). Abbondano le citazioni di film del passato. La fuga di Angelina in metrò sembra quella di Fernando Rey in Il braccio violento della legge, lei che arriva incappucciata e ritta su un motoscafo di notte è un ricalco maniacale di A Venezia, un dicembre rosso shocking, l’incontro sul treno richiama Casino Royale (ma là Eva Green e Daniel Craig funzionavano molto meglio), tutte le scene in albergo rimandano a Mancia competente di Lubitsch, Angelina che va al ballo sembra il clone della Sofia Loren di Arabesque e il ballo assomiglia parecchio a quello del Conformista di Bertolucci. Sarò un visionario, ma secondo me nelle scene del boss tenuto sotto tiro della polizia dall’altra parte del canale c’è perfino una citazione del bellissimo quanto dimenticato La vittima designata di Maurizio Lucidi, con Tomas Milian che dall’alto della Chiesa della Salute punta il fucile al cuore del conte Tiepolo (Pierre Clémenti) seduto nel suo palazzo sull’altra riva. Ma già La vittima designata era un ricalco-remake di Delitto per delitto di Hitchcock. Così sempre a lui, al gran maestro del giallo sofisticato, alla fine si torna.
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