FILM STASERA IN TV: gli imperdibili 15 (lunedì 31 gennaio)

I migliori film della sera e della notte tv: la scelta è personale. Per vedere la programmazione completa delle varie reti, consultare Film.tv.it. Si prendono in considerazione solo i film che incominciano tra le 21.00 e la 1.0o. Attenzione, la programmazione potrebbe cambiare (prima di vedere un film è meglio controllare, sempre su Film.tv.it, la sua presenza in palinsesto). Buona visione.
La scritta FREE indica i canali non a pagamento.

1. AVATAR, Sky Cinema 1, h. 21,10: Sky Cinema Hits, h. 21,30.
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2. L’uccello dalle piume di cristallo, Rai Movie, h. 22,40. FREE
3. Il grande caldo, Sky Cinema Classics, h. 21,00.
4. Il gaucho
, Premium Cinema, h. 0,50.
5. Un dollaro d’onore
, Studio Universal, h. 21,00.
6. Novecento atto I
, Sky Cinema Italia, h. 21,00; Novecento atto II, Sky Cinema Italia, h. 23,45.
7. La più bella serata della mia vita
, Cult, h. 21,00.
8. La conversazione
, Sky Cinema Classics, h. 22,35.
9. Frustrazione (Doctor Phibes Rises Again)
, MGM Channel, h. 21,00.
10. Codice: Genesi
, Premium Cinema, h. 22,50.
11. Alexander
, Joi, h. 21,00.
12. Il texano dagli occhi di ghiaccio
, Retequattro, h. 23,20. FREE
13. Omicidio in diretta
, Premium Cinema, h. 21,00.
14. Il caso Paradine
, Sky Cinema Classics, h. 0,30.
15. Saint Ange, Premium Cinema Energy, h. 22,35.

Commento:
1. Avatar. Sbarca in televisione tra clangori e fanfare promozionali il film-evento degli ultimi anni. Epocale, ma per davvero, se non altro per aver stabilito il nuovo record di incassi nella storia del cinema arrivando a realizzare, anche grazie al 3D e al circuito Imax, oltre due miliardi di dollari worldwide, per essere esatti 2.021.699.345 (dati presi dal sito Mojo Box Office). Cifra paurosa. Ma un evento Avatar lo è anche per l’uso della tecnologia e degli effetti speciali, mai così grandioso e consapevole e mai così ben finalizzato alla narrazione, che lo trasforma in esperienza polisensoriale per il nuovo, scafatissimo spettatore globale, ormai aduso a (ir)realtà virtuali e mondi paralleli grazie alla dilagante digitalizzazione. James Cameron confeziona l’ennesimo dei suoi prodotti ad altissima spettacolarità, aggiungendovi quel senso del mistero, dell’alterità, degli universi inesplorati che lo ha sempre attratto, fin dai tempi di Abyss. Questo Avatar è una fantasmagoria barocca che non si nega nulla per risucchiare dentro di sè lo spettatore e immergerlo in un modo di sogni, incubi e visioni. Cameron in questo è il più grande, non c’è George Lucas che tenga al confronto, e i tanti signori e signorotti del gigantismo cinematografico, da Peter Jackson a Terry Gilliam a Tim Burton, al suo confronto sembrano ragazzetti che giocano con le figurine. Davvero, e non è solo uno slogan promozionale, Avatar ha spinto parecchio in là i confini del cinema, e ha segnato uno spartiacque. C’è un prima e un dopo-Avatar, piaccia o meno. Quel che riesce meno bene a James Cameron è mettere in piedi una storia all’altezza della messinscena. Se la trovata degli avatar fabbricati in laboratorio perché attraverso di loro gli umani possano sbarcare sul pianeta Pandora è geniale, quel che segue lo è meno. Il paradisiaco pianeta ove gli abitanti sono blu e puri e buoni, e tutti vivono in armonia con la natura in una specie di ecosistema globale in cui ogni cosa è interconnessa all’altra, è per dirla tutta una stupidata, l’ennesima proiezione delle utopie organiciste, comunitaristiche, ecologiste che da qualche decina d’anni a questa parte ci affliggono. Così come è ridicola la demonizzazione degli umani e dei loro apparati politico-militari (che adombrano la potenza imperiale americana), che vogliono colonizzare Pandora per poter mettere le mani su certe preziose miniere. Ma dài. Messo in cantiere nei momenti più critici dell’intervento americano in Irak, Avatar è apparso un manifesto pacifista-ecologista molto antibushiano e già molto politically correct e obamiano. Certe sequenze sono ridicole e imbarazzanti, come i pandoriani allacciati in circolo per trasmettere l’energia mentale. Ma che importa, quel che conta è il senso del meraviglioso che Cameron riesce a comunicarci.
2. L’uccello dalle piume di cristallo. Così Dario Argento inventò Dario Argento e il nuovo thriller-horror. Quando uscì questo suo primo film (1970) non furono in molti a capire che avrebbe rivoluzionato non solo il nostro cinema di genere e aperto un filone con centinaia di imitazioni, ma che avrebbe ridisegnato anche l’horror tout-court. Argento veniva dalla critica cinematografica e dalla sceneggiatura – aveva collaborato con Bertolucci allo script di C’era una volta il West di Leone – e fu proprio Bertolucci a proporlo alla produzione per la regia di L’uccello dalle piume di cristallo. Uno scrittore americano a Roma – è Tony Musante – indaga su alcuni omicidi seriali. Il pazzo omicida sceglie preferibilmente donne giovani e sole, e le sequenze delle loro morti hanno già il sigillo argentiano, quel suo inconfondibile tocco voyeuristico-sadico, ma come mediato e anestetizzato dall’alto livello di stilizzazione. Così come già si precisa la capacità del regista romano di inventare universi da incubo autorerenziali e chiusi in se stessi, spazi metafisici e come sospesi, che Argento ricrea assemblando e accostando attraverso il montaggio ambienti incongrui, presi da luoghi e perfino città diverse. Il plot conta pochissimo, l’indagine pure. Importano solo le efferatezze. A tutt’oggi L’uccello dalle piume di cristallo resta uno dei vertici di Argento. Imperdibile, per chi non l’avesse mai visto.
3. Il grande caldo. Leggendario noir del 1953 di Fritz Lang, che raggiunge qui uno dei risultati più alti della sua produzione americana. Con l’implacabilità di certi precedenti film chandleriani (anche se il romanzo che origina Il grande caldo non è di Chandler), con in più il disincanto europeo e il gusto tutto espressionista per le ombre così tipicamente, riconoscibilmente langhiano. Un agente viene estromesso dal corpo di polizia per i suoi modi troppo spicci. Si farà giustizia da solo dando la caccia ai criminali che gli hanno massacrato la moglie, aiutato solo dalla pupa del boss, sfigurata dall’amante-padrone e anche lei in cerca di di vendetta. Il protagonista è Glenn Ford, ma l’apparizione che non si può dimenticare è Gloria Grahame dal volto deturpato (il personaggio di Two-Face interpretato da Aaron Eckhart in The Dark Knight di Nolan ne è una derivazione-citazione). Lee Marvin è il sadico villain.
4. Il gaucho. Un film dal periodo aureo di Dino Risi, quello che va dal 1960 al 1965, quando il regista infila una sequenza di titoli da vertigine: Una vita difficile, Il sorpasso, I mostri e questo Il gaucho, appunto. Che chissà perché non gode della stessa fama e dello status degli altri. Un delegazione di cineasti italiani sbarca in Argentina per partecipare all’allora famoso e glorioso festival di Mar della Plata. Guida il grupppo un Vittorio Gassman al top del suo fanfaronismo, un cialtrone che si lascia alle spalle a Roma un fallimento dopo l’altro e spera di rifarsi in Argentina alle spese di un amico emigrato da quelle parti. Il quale però (Nino Manfredi) si rivela più spiantato del fallito Gassman. Del gruppo fa parte anche un regista omosessuale ispirato sembra a Pasolini (straculto!) e un’attrice sgallettata (Maria Grazia Buccella). Ma a far brillare Il gaucho sono due ex stelle del nostro cinema anni Cinquanta, in quel 1965 ormai tramontate, Silvana Pampanini e Amedeo Nazzari: lei, quasi nella parte di se stessa, è un’attrice che se ne va in Argentina, dove ancora l’adorano e la considerano una star di prima grandezza, per ritrovare quel profumo divistico e e quell’ardore dei fan che in patria non può più avere, lui è un emigrato italiano che lì ha fatto i soldi e travolge con il suo vitalismo la scalcagnata troupe di Cinecittà. Quello che è fantastico in Il gaucho non è tanto il solito, pur notevolissimo sguardo corrosivo e implacabile di Dino Risi, e il suo talento di narratore, quanto la perspicacia nel cogliere l’Argentina di allora, ancora fresca di peronismo e di ogni populismo, e in cerca di uno status di potenza cinematografica (e non solo) sulla scena internazionale. Film imperdibile. Scritto alla grande da Ettore Scola e Ruggero Maccari.
5. Un dollaro d’onore. Nel solito West percorso da orde criminali uno sceriffo (John Wayne, chi se no?) cerca di fronteggiare una banda di prepotenti. Al suo fianco solo un manipolo di dilettanti allo sbaraglio che però al momento giusto sapranno tirar fuori il coraggio necessario, tra cui il vicesceriffo alcolista (Dean Martin nella parte della vita) e la bella del saloon (Angie Dickinson). Howard Hawks firma nel 1959 questo western destinato in breve a diventare un classico. I Buoni contro i Cattivi. Vincerà il Bene, ma sarà dura. Adorato da John Carpenter e Quentin Tarantino.
6. Novecento atto I e Novecento atto II. Le due parti del film di Bertolucci trasmesse giustamente di seguito, in modo che si possano cogliere (sempre che si riesca a resistere alle cinque ore e mezzo complessive) la complessità e il respiro epico di questo capolavoro (allora) annunciato del regista parmigiano. Confesso: non l’ho mai amato. Però devo anche ammettere che, rivisto oggi, il film resiste, nonostante l’obsolescenza della sua ideologia così insopportabilmente, vetustamente anni Settanta. Bertolucci mette in scena la rivoluzione contadina nella Bassa, dispiega bandiere rosse grandi come poderi a mezzadria, dipinge fascisti cattivissimi e pervertiti, epperò realizza uno spettacolo che ti avvince e non ti dà tregua, magniloquente e ipnotico come certi film di propaganda sovietici anni Venti (cui chiaramente si ispira, anche se non mancano i riferimenti a Via col vento). Il tutto, e qui sta l’astuzia bertolucciana, con i dollari dei produttori americani che, dopo il successo mondiale di Ultimo tango a Parigi, concessero al regista tutto quello che voleva. Solo che oggi Novecento funziona non tanto per il suo engagement, ma in quanto furibondo melodramma, verdiano all’ennesima potenza, corrusco, turgido come una romanza tenorile. Cast stellare. Robert DeNiro e Gérard Depardieu sono i due amici-nemici, l’uno figlio del padrone l’altro di contadini, i cui destini paralleli faranno da architrave a tutta la narrazione. Poi Donald Sutherland, Burt Lancaster, Sterling Hayden, Laura Betti, Stefania Sandrelli, Stefania Casini.
7. La più bella serata della mia vita. Dimenticato Ettore Scola del 1972, tratto da La panne di Friedrich Dürrenmatt, con un Alberto Sordi in uno dei suoi odiosi personaggi, affiancato da Michel Simon. Un farabutto milanese è in Svizzera a depositare un po’ di beni in qualche caveau, ma resta bloccato da un guasto alla macchina. Finisce a dormire in un sinistro albergo-castello dove una lugubre giuria di strani personaggi lo mette sotto processo per una vecchia colpa. Sembra una burla, un gioco cattivo, ma non sarà così. Durissimo, angoscioso. Ci voleva del coraggio a cucire addosso a una star piaciona e ruffiana la sua sua parte come Sordi un personaggio di tale carogneria e bassezza. Certo, si dovette adattare la cupezza di Dürrenmatt al codice burlesco e parodistico della commedia all’italiana, e non sempre l’operazione riesce. Il romanissimo Sordi è poi assolutamente non credibile come milanese. Ma il film resta un’escursione ardita oltre i soliti sentieri del cinema italiano di allora, e funziona anche l’ambiente, il décor, con quelle architetture e quei posti da fiaba nordica cattiva, da lugubre foresta nera, a contrasto con l’italica beceraggine del protagonista.
8. La conversazione. Un Coppola del periodo aureo, girato nel 1974 dopo Il padrino e prima di Apocalyspe Now, e vincitore della Palma d’oro a Cannes. Piccolo film, se confrontato ad altri suoi di maggior impegno produttivo. Ma anche con un piccolo budget Coppola sa essere grandioso e epico, con la sua capacità magistrale di trasformare in racconto anche il minimo dettaglio. Qui c’è un detective incaricato di sorvegliare e intercettare i movimenti di una coppia. Resterà coinvolto man mano nella vicenda, fino a una soluzione imprevista. Gene Hackman è l’investigatore, e le sue sedute all’apparato di intercettazione anticipano e ricordano quelle del film tedesco La vita degli altri. Coppola dichiarò di essersi ispirato a Blow-up di Antonioni.
9. Frustrazione (Doctor Phibes Rises Again). Sequel 1972 del cultissimo L’abominevole dottor Phibes, che l’anno prima aveva deliziato i fan dell’horror di solida marca inglese, quello che discendeva dalla tradizione gloriosa della casa di produzione Hammer. Non per niente il protagonista Vincent Price viene da quella scuola, come l’altra star del film Peter Cushing. Nel primo Phibes il protagonista si vendica dei medici che l’hanno deturpato uccidendoli con mezzi che ricordano le sette piaghe bibliche: semplicemente geniale. Stavolta, esauriti i suggerimenti della Bibbia, la si butta più sull’antica tradizione egizia, onde infliggere alle vittime di turno una serie di altrettante fantasiose morti. Dirige come nel primo episodio Robert Fuest.
10. Codice: Genesi. Potrebbe diventare un culto, questo post-apocalittico uscito l’anno scorso e passato, soprattutto in Italia, senza lasciare tracce. Diretto dai fratelli Hughes di From Hell, presenta il solito eroe solitario, stavolta un massiccio Denzel Washington, percorrere il consueto paesaggio del dopo catastrofe, con quel che rimane di una guerra devastante che ha distrutto uomini e cose. Rovine americano costellano gli orizzonti di Codice: Genesi, ed è questa parte visiva la più potente e convincente del film, girato in un colore-non colore grigio-nero che conferisce al tutto un aspetto come di cenere, carbone, materia combusta e consumata. Il resto è meno interessante, con l’eroe, il Sopravvissuto, che si aggira armato ed è letale nel colpire chiunque voglia nuocergli. Incontrerà un piccolo tiranno, signore di un territorio desolato, che vorrebbe eliminarlo, ma l’eroe sopravviverà anche stavolta. Criptici messaggi vengono di tanto in tanto lanciati dai sentenziosi dialoghi, aleggia un’aura sapienzale un po’ tronfia (il titolo originale è nientemeno che The book of Eli, che suona arcano e biblico). Ma il film ha una sua oscura forza che lo rende nient’affatto trascurabile.
11. Alexander. Il film più rovinoso e sballato da parecchio tempo in qua. Questo Alessandro Magno di Oliver Stone non poteva che diventare un culto ultracamp, per via del povero Colin Farrell mesciato con i boccoli, il suo amante Efestione (Jared Leto) truccato come una bajadera da avanspettacolo, Angelina Jolie nella parte di mamma castratrice con tanto di serpenti. Così sconsiderato da fare tenerezza. Da vedere, almeno una volta.
12. Il texano dagli occhi di ghiaccio. Del 1976, è uno dei primi film da regista di Clint Eastwood (il sesto per l’esattezza), che si ritaglia per sè anche il ruolo protagonista, quello dell’eroe solitario e di poche parole ma molto lesto con la pistola, che gli si adatta perfettamente, e che già Leone gli aveva cucito addosso. Pur con i doverosi tributi ai maestri (non solo Leone, ma anche Don Siegel e Sam Peckinpah), Clint dimostra già qui di essere un autore vero e originale. Lo sguardo lucido di Eastwood, non sentimentale eppure nello stesso tempo partecipe sull’umanità derelitta, è qui già pienamente all’opera. Un uomo vede sterminare la propria famiglia dai Nordisti, finirà con il combatterli dal fronte sudista e, a Guerra di Secessione terminata, non si arrenderà, ma continuerà a battersi da fuorilegge. Un western revisionista, tutto dalla parte del Sud sconfitto. I cattivi sono quelli venuti dal Nord col pretesto di portare il progresso e i diritti umani: visione non troppo diversa da quella di certi film antirisorgimentali di casa nostra dove le carogne non sono i borbonici, ma i piemontesi invasori (vedi Bronte di Vancini e anche l’ultimissima parte di Noi credevamo di Mario Martone).
13. Omicidio in diretta. Non è considerato il vertice di Brian De Palma. Che però anche in questo film con Nicolas Cage dei tardi anni Novanta mostra di essere uno dei registi che meglio sanno usare il linguaggio cinematografico. La fluidità con cui gira è, semplicemente, sbalorditiva, la padronanza delle tecniche di ripresa altrettanto (forse, tra quelli della sua generazione, solo Scorsese può stargli alla pari). De Palma è uno che mette in scena il cinema, nient’altro. Nei suoi film tutto è pretesto perché si possa mostrare la bellezza del cinema nel suo farsi. Qui il pretesto è l’assassinio davanti alle telecamere di un ministro durante un evento sportivo. Il piano sequenza iniziale è una prova di alto virtuosismo che lascia stupefatti. Viva De Palma.
14. Il caso Paradine. Courtroom-movie di Alfred Hithcock con protagonista la nostra Alida Valli (in quello che doveva essere e non fu il suo lancio hollywoodiano e planetario. La signora Paradine è accusata di aver ucciso il marito. Colpevole o innocente? Alida Valli, magnifica, carica di ambigue ombre europee il suo personaggio e rivaleggia in carisma con Charles Laughton.
15. Saint Ange. Horror francese del 2004 ambientato in un sinistro (come potrebbe essere altrimenti?) orfanotrofio disperso sulle Alpi. Cast molto cool, con Virginie Ledoyen, bellissima, e Lou Doillon, figlia di Jane Birkin e del regista Jacques Doillon. L’horror made in France ha prodotto parecchie cose interessanti, come il recente, terrificante ma pieno di riferimenti colti Martyrs. A me Saint Ange è piaciuto parecchio.

La classifica prosegue con:
16. Italia a mano armata, Iris, h. 23,15. FREE
17. Valanga
, Studio Universal, h. 23,35.
18. Charlie Bartlett
, Rai4, h. 0,00. FREE
19. Cattivi pensieri
, Cult, h. 22,50.
20. Proof – La prova
, Premium Cinema Emotion, h. 21,00.
21. Rails & Ties
, Cinema Premium Emotion, h. 22,45.
22.
L’uomo che fissa le capre, Sky Cinema Mania, h. 22,55.
23. Jenifer – Istinto assassino
, Rai Movie, h. 0,20. FREE
24. La forca può attendere
, MGM Channel, h. 0,00.
25. Il giustiziere della notte 2
, MGM Channel, h. 22,35.
26. Oh Serafina!, Cult, h. 0,45.
27. Il pentito
, Iris, h. 1,05. FREE




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