Recensione. ANOTHER YEAR: Mike Leigh racconta magistralmente una storia poco interessante

Another Year, regia di Mike Leigh. Con Jim Broadbent, Lesley Manville, Ruth Sheen, Oliver Maltman, Imelda Staunton.

Leslie Manville è Mary

La bravura di Mike Leigh è tale che davanti a Another Year non ci sembra di vedere un film, ma di assistere alla vita nel suo farsi. Il guaio è che i personaggi sono poco interessanti e di loro non ci importa molto, a parte Mary, l’amica nevrotica e alcolista, che da sola regge il film. Paradossale poi che il radical Leigh confezioni un’opera che è un inno come poche ai valori familiari e al matrimonio.

Ruth Sheen e Jom Broadbent sono Gerri e Tom

Però, questo Another Year di Mike Leigh come assomiglia al vetusto Metti, una sera a cena di Giuseppe Patroni Griffi, anno 1969. Là c’era un gruppo di amici che si ritrovavano a intervalli regolari intorno alla grande tavola di una di loro (Giovanna/Annie Girardot), e parlavano, si sbranavano, si desideravano, si tradivano, si lasciavano e si ritrovavano, aggrappati a quella tavola-totem come alla zattera della Medusa. Tra il tardodannunzianesimo di Patroni Griffi, i suoi viziati (viziosi?) borghesi, tra l’aura di estetizzante deboscia del suo film e il realismo spoglio di Mike Leigh corre una bella differenza, d’accordo. Però il grumo di varia umanità che lungo le quattro stagioni di un anno si ritrova immancabile attorno al grande tavola della cucina di Gerri e Tom, i protagonisti di Another Year, ripete lo stesso rito esorcistico di Metti, una sera cena, nell’illusione che quella coazione a ripetere possa dare una stabilità e un ancoraggio alle proprie volatili esistenze.
Non sono poi così simpatici, Gerri e Tom, coppia di ultracinquantenni che da giovane fu sessantottina, o qualcosa che in Inghilterra assomigliava al nostro essere sessantottini, e andò insieme all’isola di Wight, e adesso sta invecchiando molto decorosamente, lei, Gerri, psicologa in una struttura pubblica, lui, Tom,  geologo alle prese con il cantiere di non si sa quale opera pubblica per le strade di Londra. Sono ospitali, rifocillano amici e parenti che passano da casa loro, casa sempre aperta come si conviene a dei borghesi liberal, preferibilmente cucinando le verdure di un orto che coltivano appena fuori città, in un lembo di terra strappato all’urbanizzazzone selvaggia. Sono disponibili, di quegli amici che tutti vorremmo avere e un po’ tutti abbiamo, però non simpaticissimi, per via di quell’aria di superiorità morale che non riescono proprio a levarsi di dosso. Sono dei buoni, medio borghesi che, avendo fatto sempre le cose politicamente giuste e corrette, si sentono un gradino su rispetto al resto dell’umanità derelitta e anche cafona, e questo ahinoi nel film ce lo fanno un po’ pesare (soprattutto lei, Gerri).
Dunque, la compagnia di giro che si riunisce intorno alla tavola e alle verdure dei nostri due è composta da: Mary, segretaria che lavora nella stessa clinica di Gerri ed ha problemi con la solitudine e con l’alcol, e nelle sue derive alcoliche – sempre con un bicchiere dell’adorato vino in mano – parla e straparla irrefrenabile, e finirà col comprarsi una macchina rossa usata che le porterà altre scocciature. Sciroccata e sempre fuori fase, è il personaggio migliore del film, una di quelle persone cui vorresti dare un mano e non ci riesci mai. Segue nella lista dei convitati il figlio della coppia, Joe, un avvocato trentenne brillante ed estroverso e single, che però poi (non ricordo più in quale delle stagioni del film, mi pare l’autunno) finalmente presenta a papà e mamma una simpatica fidanzata, quindi arriva Ken, il vicino di mezz’età obeso e malinconicamente invecchiato e solo. Si aggiungeranno il fratello anarcoide di Tom, Ronnie, e una ragazza di colore con un neonato. Succede qualcosa, ma non molto, tra queste persone-personaggi. Accenni di innamoramenti, disincanti, piccole fughe, ritorni. Niente di che, niente che possa fa sussultare noi spettatori sulla poltrona. È la vita che si svolge quieta e nella quale i cambiamenti accadono quasi impercettibili, anche se poi possono avere forti effetti sulle esistenze. C’è un neonato, e c’è una persona che alla fine del film morirà, in un funerale che però paradossalmente aprirà alla vita.

Mike Leigh sul set

Il Leigh-touch è stato più volte celebrato, è quella sua capacità virtuosistica di farci credere che quanto ci mostra sullo schermo è, semplicemente, la vita, senza trucchi e artifici. Si è detto anche che questo effetto di massima verità è ottenuto attraverso un perfezionismo maniacale nella messinscena, nella direzione degli attori, soprattutto nella fase precedente della sceneggiatura, scritta e riscritta molte volte fino a che non scorra fluida come la realtà. Vero, Leigh è un maestro, e anche stavolta non smentisce la sua fama, risucchiando tutti noi spettatori attorno alla tavola di Gerri e Tom, facendoci partecipare al rondò di piccole infelicità e felicità dei suoi personaggi. Qualcuno ha tirato in ballo, a proposito di Another Year che non sembra avere una trama visibile e forte ma è puro cinema di conversazione, il nome di Cechov, e non è una citazione fuori luogo. Il problema non è però la voluta mancanza di picchi drammaturgici e di climax del film, il suo essere, per scelta dell’autore, una dimessa sequenza di fatti minimi. No, il problema di Another Year è che i suoi personaggi sono poco interessanti. Di Gerri e Tom e della loro sottile antipatia si è detto, gli altri ce li scordiamo presto e non riescono ad appassionarci. L’unica cui ci affezioniamo davvero, ed è quella che regge tutto il film e gli dà senso, è Mary, la collega dolcemente nevrotica e alcolista, interpretata da una Leslie Manville memorabile. Degli altri non ci importa granchè, a parte forse Ronnie, e tutto il magistero di Mike Leigh finisce con l’applicarsi a un materiale umano meravigliosamente descritto e rappresentato ma inconsistente e ininteressante. Oltre a Mary, c’è solo un’altra figura che ci coinvolge, ma che appare solo all’inizio e poi scompare, è Imelda Staunton, attrice feticcio del regista, nella parte di una donna working class devastata dall’insonnia che si rivolge in ospedale a Gerri in cerca di aiuto. Ha poche battute e poche inquadrature, ma la sua disperazione, i suoi occhi consumati e vacui, fanno venire i brividi e non si dimenticano.
Il paradosso è che il radical Mike Leigh firma con Another Year un inno, anche se non si sa quanto voluto, ai valori familiari. Gerri e Tom sono di quei coniugi di lunga durata, ormai sempre più rari, che tra pur tra alti e bassi riescono a resistere a tutto e a restare uniti, e non hanno mai seriamente pensato di divorziare, e che proprio per questa intima solidità diventano la zattera cui si aggrappano gli amici-naufraghi privi di stabilità sentimentale, di un matrimonio e una famiglia che li rassicuri e li protegga. Questo ci dice chiaro e forte Another Year, anche se forse Leigh non era questo che voleva dirci.
[youtube http://www.youtube.com/watch?v=5vZkiHWLwjQ&w=480&h=390]

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