Unità d’Italia: tutti i FILM che ne parlano (terza parte)

In vista della festa del 17 marzo 2011 per il centocinquantenario dell’Unità d’Italia, ecco un elenco (il più completo possibile) dei film che hanno trattato il tema dell’Unità nazionale e del Risorgimento, anche da punti di vista opposti. Vista la mole del materiale, l’elenco viene diviso in più parti. Quando è possibile, alla scheda del film si aggiunge anche una clip.
Nel primo post trovate i film dal n. 1 al n. 10
Nel secondo post trovate i film dal n. 11 al n. 20

21. Eran trecento… (La spigolatrice di Sapri) di Gian Paolo Callegari, 1952. Melodramma popolar-nazionale e nazional-popolare come usava in quei primi anni Cinquanta, dove il Risorgimento si mescola a passioni e amori contrastati. Ricostruzione molto, molto romanzata dello sbarco di Carlo Pisacane a Sapri nel 1857 e dei fatti che lo precedettero in terraferma, Eran trecento… vede il nobile lucano Volpintesta che lotta segretamente contro i Borboni, mentre la sua amata Lucia viene insidiata dal filo-borbonico Don Franco. Non resta che aspettare lo sbarco di Pisacane, per togliere di mezzo sopraffattori e soprusi, e fare giustizia e fondare un nuovo ordine: ma sappiamo come è andata a finire. Con Rossano Brazzi, allora star del cinema italiano e americano, Antonio Cifariello, Franca Marzi, Paola Barbara, Luisa Rivelli. Raro, quasi invedibile. Da confrontare con Quanto è bello lu murire acciso di Ennio Lorenzini del 1975, che tratta sempre di Pisacane, ma con un approccio agli antipodi del film di Callegari.
22. I Vicerè
di Roberto Fenza, 2007. Il film che Roberto Faenza ha tratto nel 2007 dal grande romanzo tardo ottocentesco-verista di Federico De Roberto, anticipatore di molti temi che si ritroveranno poi nel più celebre Gattopardo di Tomasi di Lampedusa. Sotto la lente di De Roberto (e di Faenza) c’è la famiglia siciliana degli Uzeda, discendente dei vicerè di Spagna, colta nell’arco di tre generazioni, mentre intorno il destino della Sicilia e dell’Italia cambia. Si incomincia con la caduta dei Borboni, si finisce con un Uzeda trasformista che entra nel parlamento dello stato unitario. Poderoso affresco, quello di De Roberto, che Faenza riesce a restituire solo in parte. Ma il suo film è encomiabile per il coraggio con cui affronta temi desueti e trascurati nel cinema italiano di oggi. Frase da ricordare: “Ora che l’Italia è fatta dobbiamo farci gli affari nostri”. Con Lando Buzzanca nella parte del patriarca, più Alessandro Preziosi, Cristiana Capotondi, Guido Caprino e una ritrovata Lucia Bosè. Uscito nei cinema (e subito sparito), poi trasmesso da RaiUno in due parti.
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23. ‘Il tamburino sardo’, episodio di ‘Altri tempi’ di Alessandro Blasetti, 1952. All’inizio degli anni Cinquanta Alessandro Blasetti gira questo film che diverrà la matrice di tutto il successivo cinema italiano a episodi, un format destinato a essere replicato infinite volte. Altri tempi si articola in otto episodi diversi (con un nono che li lega), tutti ispirati però alla novellistica italiana dell’Ottocento. Se Il processo di Frine, con una prorompente Gina Lollobrigida e un inarrivabile Vittorio De Sica (che nei panni di un avvocato conia per lei il termine “maggiorata fisica”), resta il più famoso, va ricordato qui Il tamburino sardo, riproposizione e illustrazione di uno dei racconti patriottici riuniti nel libro Cuore di De Amicis. La storia è nota: durante la prima guerra di Indipendenza del 1848 dei Piemontesi contro gli Austriaci, un ragazzino, arruolato come tamburino, viene inviato da una pattuglia rimasta isolata a Custoza a chiedere soccorso ai carabinieri stanziati a Villafranca. Nel corso della missione verrà ferito, riuscirà lo stesso a consegnare il messaggio ma dovrà pagare il suo atto di coraggio con l’amputazione della gamba. Con un giovanissimo Enzo Cerusico.
24. … correva l’anno di grazia 1870 di Alfredo Giannetti, 1972. Attenzione, c’è Anna Magnani, e con lei Marcello Mastroianni, un’accoppiata che vale la visione a prescindere. Uno dei quattro film che – idea meravigliosa, visti i risultati che ne derivarono – Alfredo Giannetti girò per conto della Rai nel 1972 per celebrare Anna Magnani, protagonista-mattatrice che da un film all’altro incarna quattro figure di donne in momenti cruciali della storia italiana. Stavolta siamo nella Roma 1870 ancora per poco papalina, mentre già i bersaglieri sono alle Mura e manca poco alla breccia di Porta Pia. Magnani, in un ruolo su misura per lei, è una popolana alla testa di una rivolta di donne che vogliono liberare i mariti, amanti, parenti detenuti nella carceri pontificie, molti per motivi politici. C’è anche Osvaldo Ruggeri, a quel tempo sentimentalmente legato alla Magnani.
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25. In nome del Papa Re, di Luigi Magni, 1977. Luigi Magni è il regista del nostro cinema che più tempo e passione (e film) ha dedicato alla Roma papalina e post-papalina, con le storie a intreccio di popolani, nobildonne, nobiluomini, prelati, carbonari e altri ribelli di vario tipo. Un vero e proprio genere cinematografico legato indissolubilmente al suo nome, e da lui aperto nel 1969 con Nell’anno del Signore, di cui abbiamo già parlato in un post precedente. In questa pagina citiamo altri suoi quattro film, a partire da In nome del Papa Re, cui seguono In nome del popolo sovrano, Arrivano i bersaglieri e La Tosca (ma diciamo subito che ci sono altri titoli risorgimentali di Magni che tratteremo più avanti). In nome del papa Re è, a mio parere, il suo migliore insieme al capostipite Nell’anno del signore. Girato nel 1977, presenta un Nino Manfredi mattatore assoluto nei panni di un prelato nella Roma 1867 di Pio IX già minata da dissensi e attentati, e prossima al tracollo. Scoppia una bomba in una caserma di soldati francesi filopontifici, incomincia la caccia alla cellula rivoluzionaria che ne è responsabile. Don Colombo (Manfredi) scopre che uno dei ragazzi presi di mira dalla polizia è suo figlio, nato da una lontana relazione con un’aristocratica. I tentativi di salvare il ragazzo si mescolano a un ritratto della città in preda alle convulsioni di fine regime, con una repressione che sa essere ancora efficiente e feroce. Ma il film allude, con i suoi attentatori in clandestinità, anche all’Italia di quei violenti anni Settanta in cui venne girato.
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26. In nome del popolo sovrano, di Luigi Magni, 1990. Stavolta la Roma che Luigi Magni ricostruice sul set è quella della Republica mazziniana-garibaldina tra 1848 e 1849, quando i tanti patrioti accorsi si illusero che il potere temporale del Papa Re fosse finito per sempre. Ma intervennero i francesi, allora sostenitore di San Pietro, a spazzare via le speranze di cambiamento. Fu la primavera di Roma, e finì nel sangue e nella repressione. Il film, girato nel 1990, esibisce una folla di personaggi maggiori e minori, di protagonisti e figure collaterali, tutti divisi tra filorivoluzionari e nostalgici dell’alleanza di trono e altare. Domina il patriarca Alberto Sordi. Accanto a lui Luca Barbareschi e Elena Sofia Ricci. Nino Manfredi è il capopolo Ciceruacchio.
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27. Arrivano i bersaglieri, di Luigi Magni, 1980. Roma è ormai caduta nelle mani delle truppe di Vittorio Emanuele. È il 20 settembre 1870, attraverso la breccia di Porta Pia sciamano i bersaglieri. È la fine del potere temporale del Papa. In un palazzo nobiliare c’è il patriarca Don Prospero (Ugo Tognazzi), fieramente antisavoiardo, che non sa che il figlio si è però arruolato di nascosto nei bersaglieri. Intrighi, amori e passioni si mescolano agli avvenimenti che stanno cambiando la faccia di Roma da papalina a italo-piemontese, c’è chi rimane ancorato al passato e chi se ne smarca pensando al domani. Un gioco che coinvolge la moglie di Don Prospero, Olimpia (Ombretta Colli: cult!) e Don Alfonso (Vittorio Mezzogiorno), ufficiale borbonico a Roma per combattere i piemontesi e che ora si ritrova sconfitto e bisognoso di riposizionarsi nella nuova Italia. Godibile, anche se non all’altezza dei capolavori di Luigi Magni.
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28. La Tosca di Luigi Magni, 1973. Più Victorien Sardou che Puccini, questo film che Magni gira nel 1973 e che  è soprattutto un vehicle per la diva della commedia all’italiana Monica Vitti, qui ovviamente nel ruolo del titolo, mentre il pittore Caravadossi è un (allora) emergente Luigi Proietti. C’è nella vicenda, come i melomani ben sanno, un carbonaro antipapalino di nome Angelotti che, amico di Cavaradossi, inguaierà quest’ultimo e pure la povera Tosca che del pittore è innamorata persa. Finirà malissimo. Il potere pontificio e antirivoluzionario è incarnato dall’abietto Scarpia, manipolatore e ingannatore di Tosca, qui interpretato da un serpentesco Vittorio Gassman. Il film soffre di un’oscillazione non risolta tra il registro drammatico e quello della commedia, verso cui inevitabilmente lo porta la presenza di Monica Vitti.
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29. Li chiamarono… briganti! di Pasquale Squitieri, 1999. Controverso, maledetto, oscurato film di Pasquale Squitieri del 1999 che, presentato a Venezia tra fischi e imbarazzi, ha avuto una breve uscita nei cinema per poi sparire definitivamente. Film che nel tempo ha acquisito lo status di culto, soprattutto tra i sostenitori del revisionismo risorgimentale, i neoborbonici, coloro che ritengono la conquista del Sud da parte dei piemontesi uno smacco e la definitiva rovina del Meridione. Perché Li chiamarono.. briganti sposa appieno queste tesi, senza se e senza ma, del resto Pasquale Squitieri lo conosciamo, non è regista di chiaroscuri e sfumature, lui taglia con l’accetta, niente vie di mezzo. E qui non brilla per sottili distinguo nel raccontare con afflato epico l’incredibile storia del lucano Carmine Crocco che, nel Meridione post-unitario, raccoglie i contadini insoddisfatti e sfruttati, li unisce a ufficiali borbonici, sanfedisti e nostalgici vari dell’ancien régime e muove militarmente contro gli occupanti piemontesi. Piaccia o meno Squitieri, si concordi o no con la sua posizione – tutta dalla parte di Crocco celebrato come eroe delle resistenza sudista contro i colonialisti venuti dal Nord – la storia raccontata dal film è formidabile. Si può eccepire, e c’è moltissimo da eccepire sullo stile approssimativo e rozzo di Squitieri, e sul suo livore antirisorgimentale. Ma non si può non seguire Crocco nelle sue imboscate, nelle battaglie, nella conquista di città e villaggi, nelle alleanze, nella sconfitta. Un film che non mi trova d’accordo, ma che difendo e che vorrei rivedere, almeno in tv, almeno in dvd. Con Enrico Lo Verso nella parte del brigante-capo Crocco, Claudia Cardinale, Franco Nero, Lina Sastri, Carlo Croccolo, E, motivo di straculto, con Roberta Armani, la nipote di re Giorgio e sua delfina. Doveva essere il suo lancio al cinema, rimase un episodio.
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30. Anita. Una vita per Garibaldi di Aurelio Grimaldi, 2007. Chi l’ha visto? È un film clandestino, un film-samizdat, presentato in qualche proiezione random qua e là per l’Italia però mai uscito nelle sale e mai apparso in tv. Eppure qualcuno lo adora come un cult, et pour cause. Produzione italo-brasiliana del 2007, vede difatti alla regia quell’Aurelio Grimaldi che è il più pasoliniano di tutti i registi italiani in attività, quello che più cita l’estetica e la poetica, i temi e le passioni del regista di Accattone e dell’autore di Ragazzi di vita. Per intenderci, Grimaldi è quello che ha girato film radicali ed estremi di visioni sottpoproletarie, Le bottane, La discesa di Aclà a Floristella, Nerolio (tre episodi della vita e degli amori di un poeta-regista molto somigliante a Pasolini). Certo, è anche l’uomo che ha girato Il macellaio con Alba Parietti, ma con quel curriculum come si fa a non aver voglia di vedere la storia di Anita Garibaldi by Grimaldi? Lei è Milena Toscano, il biondo generale è Maurizio Aiello, e già questo. Io che ho alcuni titoli di Aurelio Grimaldi tra i miei guilty pleasures, lo voglio recuperare assolutamente.
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