FILM STASERA IN TV: gli imperdibili 15 (mercoledì 30 marzo 2011)

I migliori film della sera e della notte tv: la scelta è personale. Per vedere la programmazione completa delle varie reti, consultare Film.tv.it. Si prendono in considerazione solo i film che incominciano tra le 21.00 e la 1.30. Attenzione, la programmazione potrebbe cambiare (prima di vedere un film è meglio controllare, sempre su Film.tv.it, la sua presenza in palinsesto). Buona visione.
La scritta FREE indica i canali non a pagamento.

Davvero una gran serata di cinema in tv. Un capolavoro di Pasolini, due film di Pietrangeli, un Haneke ai suoi massimi livelli, e Polanski, Chéreau, Zhang Yimou, Kubrick. E la prima su schermo domestico di Io sono l’amore di Guadagnino. Poi dicono che in tv non danno mai niente di buono.

1. Mamma Roma, Iris, h. 23,10. FREE
[youtube http://www.youtube.com/watch?v=uZrI2BRe0k4&w=480&h=390]
2. Io sono l’amore, Sky Cinema 1, h. 21,10.
[youtube http://www.youtube.com/watch?v=v7O6Kj_BUwA&w=640&h=390]
3. Adua e le compagne, Iris, h. 1,15. FREE
[youtube http://www.youtube.com/watch?v=kSvOsCuqSmA&w=480&h=390]
4. Chinatown, Sky Cinema Classics, h. 21,00.
5. Fantasmi a Roma
, Sky Cinema Classics, h. 23,15.
6. Funny Games, Rai Movie, h. 0,20. FREE
7. Intimacy – Nell’intimità, Cult, h. 1,30.
8. Green Zone, Sky Cinema 1, h. 23,15.
9. La foresta dei pugnali volanti, Rai4, h. 21,10. FREE
10. Full Metal Jacket
, Premium Cinema Energy, h. 1,00.
11. Un grido nella notte, Studio Universal, h. 21,10.
12. The Road
, Sky Cinema 1, h. 1,15.
13. La sconosciuta, Iris, h. 21,05. FREE
14. L’occhio del ciclone, Sky Cinema Max, h. 21,00.
15 ex aequo. Stop-Loss
, Rai4, h. 23,50. FREE
15 ex aequo. Sotto il vestito niente, Sky Cinema Max, h. 23,05.
Commento:
1. Mamma Roma, Iris, h. 23,10. Del 1962, è il secondo film di Pier Paolo Pasolini dopo l’esordio clamoroso di Accattone. Anche qui una storia di borgata, di vite derelitte e umiliate. A Venezia, dove fu presentato in prima mondiale, non fu accolto bene, checchè se ne dica e se ne scriva oggi. Il parterre dei critici ufficiali non si entusiasmò per niente e lo considerò un arretramento rispetto al film precedente, tutt’al più un ricalco di Accattone, assai meno riuscito. Non piacque soprattutto che Pasolini fosse ricorso stavolta a una diva conclamata come Anna Magnani. Invece oggi il film ci appare immenso, perturbante, commovente fino allo strazio, e l’incontro tra Pasolini e Anna Magnani, benchè venato da diffidenze reciproche e incomprensioni (e come poteva essere altrimenti?), memorabile, da capitolo di storia del cinema. Naturalmente PPP la spoglia di ogni divismo, di ogni cliché per riconsegnarla alla sua essenza di mater mediterranea e mater dolorosa, di matriarca che dà la vita, nutre e anche conduce verso la distruzione i suoi figli. Magnani lo asseconda, anche se in certi momenti pare ribellarsi e non farcela a stare nelle maglie strette che il regista le ha messo addosso. Ma è anche questa tensione a rendere il film qualcosa di unico, sia nella filmografia di Pasolini che in quella dell’attrice.
La prostituta Mamma Roma (e già il nome) quando vede il suo protettore Carmine (Franco Citti) sposarsi, si ritiene sciolta da ogni vincolo nei suoi confronti e assapora finalmente la libertà e, si direbbe oggi, la possibilità di autodeterminarsi. Si trasferisce in un appartamento moderno in un quartiere di ambizioni piccolo-borghesi, si riprende finalmente con sè il figlio sedicenne Ettore che aveva affidato a dei contadini dell’hinterland, si compra un banco di frutta al mercato, sogna una vita rispettabile. Ma il passato presenterà i suoi conti, e saranno conti pesanti. Il figlio morirà, stretto in un letto di contenzione, abbandonato come un cane, in una scena terribile che non si può dimenticare (e che figurativamente Pasolini strutturò prendendo a modello il Cristo deposto del Mantegna). Che dire? Che Pasolini sa turbarci ancora oggi, che questo Mamma Roma cinquant’anni dopo (cinquant’anni!) si è consolidato come un classico, che non lo si può perdere, proprio non si può.
2. Io sono l’amore, Sky Cinema 1, h. 21,10. Arriva in tv il film di Luca Guadagnino che è stato la grande sorpresa dell’anno scorso (e un caso esemplare di nemo proheta in patria). Proiettato a Venezia 2009 e accolto distrattamente dai critici italiani tra i soliti sbadigli e mugugni, uscito nelle nostre sale totalizzando un incasso misero di soli 25omila euro, è, come ben si sa, poi esploso in America sorretto da critiche molto positive e realizzando un incasso nel circuito art-house di quasi 6 milioni di dollari, risultato assolutamente eclatante per un prodotto del nostro cinema. È seguito analogo esito sugli altri mercati, dalla Gran Bretagna alla Germania alla Francia, con nomination a tutti i premi maggiori, dai Bafta ai Golden Globes (e nomination all’Oscar per i migliori costumi), mentre qui ai vari David di Donatello e Nastri d’argento non se l’è filato nessuno. E faceva impressione, a fine anno, vedere come molti critici di lingua inglese della stampa e del web lo avessero inserito nella lista dei migliori titoli del 2010 mentre qui, al solito, silenzio. Un caso clamoroso di strabismo, una case history che andrebbe studiata nella scuole di cinema e non solo. Domanda fondamentale cui rispondere: come mai questa abissale differenza tra Italia e resto del mondo? È che in America si è apprezzato l’italian style di tutta l’operazione, il gusto della messinscena, la fotografia perfetta e accurata, la location (la milanese Villa Necchi, capolavoro del razionalismo), l’eleganza di scenografia e abiti, la storia che richiama il grande cinema classico italiano, massimamente quello di Visconti (Ritratto di famiglia in un interno, La caduta degli dei) e Pasolini (Teorema, cui Io sono l’amore sembra ispirarsi esplicitamente). Crisi e decadenza della famiglia borghese lombarda dei Necchi, dinastia tessile alle prese con i problemi della globalizzazione e soprattutto con inquietudini e fratture psicologico-affettive interne. A incarnare queste sotterranee pulsioni destabilizzanti è Emma, la nuora del patriarca, di origine russa, dall’aria aristocratica e dall’eleganza irreprensibile. L’equilibrio familiare-dinastico si spezza quando entra in scena un giovane chef, Antonio, amico di uno dei figli di Emma, di cui lei si innamorerà, in una misalliance che la perderà, e perderà (forse) l’intera famiglia. E non si può non pensare appunto a Teorema di Pasolini e al suo ospite-angelo seduttore e distruttore. Certo, il film di Guadagnino è talvolta fastidiosamente pretenzioso, sfiora qua e là pericolosamente il kitsch, ma è anche un generoso tentativo di dar vita, non senza un qualche risultato, a un cinema italiano degno del suo grande passato, di forti ambizioni, ancora voglioso di cimentarsi con i grandi temi e spudoratamente attratto dal Sublime, anche a rischio di qualche caduta (e in questo ricorda Liliana Cavani e Giuseppe Patroni Griffi). Un piccolo film che pensa in grande, e che ha vinto, almeno sul mercato internazionale, la sua scommessa. Merito anche di Tilda Swinton, produttrice di Io sono l’amore, musa di Guadagnino, e ipnotizzante protagonista. Adesso aspettiamo la prossima mossa del regista. Girerà in Italia o in America? E che cosa girerà?
3. Adua e le compagne, Iris, h. 1,15. Uno dei grandi film di Antonio Pietrangeli, maestro di un cinema italiano tra anni Cinquanta e Sessanta al confine tra dramma, melodramma e commedia. Adua e le compagne è uno dei suoi fondamentali ritratti di donne, esattamente come Io la conoscevo bene, La visita, La parmigiana, tutti titoli che lo collocano parecchio in alto nel ranking dei nostri registi. Del 1960, racconta di un gruppo di prostitute che vengono liberate (espulse?) dalle case chiuse dopo la legge Merlin, e che si ritrovano a reinventarsi la vita. L’illusione è quella di poter ricominciare altrove, con un lavoro – rilevano insieme una trattoria fuori città – e un’esistenza normali, ma presto arriveranno le disillusioni, le rese dei conti con il passato. E il futuro sarà molto amaro. Pur nella netta differenza stilistica, sono forti le analogie con il di poco successivo Mamma Roma di Pasolini. Quel che è interessante qui è lo sguardo mai razzista di Pietrangeli (diversamente da quanto accade spesso anche nella migliore commedia all’italiana), anzi partecipe e compassionevole verso le protagoniste. Un rispetto e una misura insoliti per il nostro cinema, naturalmente e si direbbe geneticamente portato alla beceraggine e alla sguaiataggine. Formidabile gruppo di attrici, capitanato da Simone Signoret, e con Emmanuelle Riva, Sandra Milo, Gina Rovere. Occhio, ci sono anche Marcello Mastroianni e Domenico Modugno.
4. Chinatown, Sky Cinema Classics, h. 21,00. Capolavoro capolavoro capolavoro. Roman Polanski rifà nel 1974 un noir à la manière degli hammettiani-chandleriani Il mistero del falco e Il grande sonno. Stessa ambientazione di quegli archetipi, la Los Angeles anni Trenta-Quaranta. Misteri pubblici e privati, segreti inconfessabili, ignominie, speculazioni, il denaro che tutto corrompe, anime nere, angeli caduti. Indaga il detective Jake Gittes, un Jack Nicholson che non vedremo mai più così intenso e contenuto. Sarà per lui e per noi spettatori un viaggio al termine della notte. John Huston gigante del male. Faye Dunaway mai così ambigua e così straziante. Memorabile la battuta finale: “Che ci vuoi fare, Jake, è Chinatown”.
5. Fantasmi a Roma, Sky Cinema Classics, h. 23,15. Dopo Adua e le compagne, un altro film di Antonio Pietrangeli in questa serata televisiva, e naturalmente un altro titolo da non perdere. Del 1961, è una commedia sofisticata (per quanto possa esserlo una commedia all’italiana di quegli anni) con un palazzo nobiliare romano abitato da aristocratici fantasmi che faranno di tutto perché la loro dimora non venga venduta a un manipolo di volgari speculatori. Non andò benissimo, anche perché si distaccava parecchio dal cinema più corrivo, ma resta un esempio di cinema popolare italiano di insolita eleganza, un tentativo encomiabile di coniugare stile alto e prodotto per tutti. Scritto da Sergio Amidei, Ettore Scola e Ennio Flaiano, su soggetto dello stesso Pietrangeli e di Ruggero Maccari: un gotha da vertigine. Cast da leggenda, e non è un’esagerazione. Sentite un po’ qui: Marcello Mastroianni, Vittorio Gassman, Eduardo De Filippo, Tino Buazzelli, Sandra Milo, Belinda Lee, Lilla Brignone, Franca Marzi.
6. Funny Games, Rai Movie, h. 0,20. A tutt’oggi, il miglior film di Michael Haneke (sì, molto meglio del sopravvalutato Il nastro bianco), così esemplare da essere una sorta di manifesto del suo cinema della crudeltà. Haneke lo gira nel 1997 in Austria, ben prima della sua emigrazione a Parigi, con un budget ridotto, attori locali sconosciuti fuori dai confini, epure Funny Games fu unc olpo di gong che risuonò in tutto il mondo e che segnò la nascita di un autore. Più terribile e pauroso di qualsiasi horropr-splatter di sangue e sbudellamenti, perché Haneke ci mostra la malvagità pura, assoluta. Una coppia trascorre tranquilla un weekend sul lago. Nella bella casa si introducono due ragazzi, all’apparenza innocui e perbene. Ma sono il Male che si maschera per meglio colpire. La coppia viene presa in ostaggio, fatta oggetto di una sequenza di sadismi e orrori. Attenzione: quasi insostenibile. Uno dei film più agghiaccianti che si siano mai fatti, e non è un’esagerazione. Michael Haneke girerà dieci anni dopo un autoremake shot-for-shot in America con Naomi Watts, Funny Games. Possiamo iniziare?, ma non sarà la stessa cosa.
7. Intimacy – Nell’intimità, Cult, h. 1,30. Un film del 2001 di Patrice Chéreau, uno dei pochi registi di teatro che sia anche riuscito a diventare nel corso della sua carriera ottimo regista di cinema, basti citare La regina Margot o il suo ultimo, bellissimo, contorto, cupo, paranoico Persécution con Romain Duris. O questo Intimacy, vincitore a suo tempo al Festival di Berlino e per molti la miglior performance filmica di Chéreau. Un’opera claustrofobico, quasi un kammerspiel, su un lui e lei che ogni mercoledì si ritrovano in un alloggio miserabile per fare l’amore, ma che restano degli estranei l’uno all’altra. Hanno stretto un patto per volontà di lei: non si scambieranno mai i loro nomi, la loro storia dovrà restare confinata in quel letto, nulla delle loro vite deve trapelare. Solo sesso. Sesso che non ha bisogno di altro e non cerca altro per giustificarsi. Ma un giorno lui sgarra e la segue, e nulla sarà più come prima. Film che ricorda molto il simile, e di poco precedente, Una relazione privata con Sergi Lopez, solo che qui si scende più a fondo nell’abisso, con più radicalità. Indispensabile.
8. Green Zone, Sky Cinema 1, h. 23,15. Un altro Iraq-movie (questo è dell’anno scorso) e un altro insuccesso di pubblico. L’unico film sulla guerra di Baghdad e dintorni che finora sia andato abbastanza bene è The Hurt Locker di Kathryn Bigelow, e anche quello, nonostante gli Oscar guadagnati, non ha certo fatto esplodere il box office. Il pubblico non ne vuole sapere, forse quella guerra remota, in un paese estraneo, è troppo impopolare o forse, al contrario, l’anti-interventismo e perfino l’autodenigrazione di gran parte dei film americani sull’Iraq hanno alla fine irritato e stancato. Fatto sta che non hanno sfondato con questo Green Zone (il riferimento è alla zona protetta di Baghdad dove ci sono le istituzioni e i vari headquarters) nemmeno il regista Paul Greengrass e un divo come Matt Damon. Eppure dal loro collaudato sodalizio erano già nati grandi successi come il secondo e il terzo Bourne. Damon è un ufficiale che nella Baghdad del 2003 è incaricato di indagare sulle più che mai misteriose armi di distruzione di massa di Saddam Hussein. Si renderà conto però strada facendo che c’è dell’altro in ballo, che varie forze stanno giocando sulla sua testa e sulla sua pelle una sporca partita. Benissimo girato, avvincente (Greengrass è regista che sa il fatto suo, specie nelle scene d’azione), ma ambiguo e confuso. Come in tutti i recenti film bellici americani, c’è un eccesso di autocritica e di revisionismo, non si capisce più chi siano i buoni e i cattivi, con la conseguenza che lo spettatore non sa per chi tifare e dice no grazie.
9. La foresta dei pugnali volanti , Rai4, h. 21,10. Wuxiapian d’autore. Stavolta a dirigere il tipico film cinese di cappa e spada con arti marziali incorporate è Zhang Yimou, quello di Lanterne rosse e La storia di Qiu Ju, e lo fa da quell’autore che è. Due soldati e una ragazza cieca di sovrumana bellezza e abilità funambolica, percorrono una foresta piena di pericoli. C’è una missione da compiere, ma sarà tutto molto più complicato e ambiguo di quanto non fosse sembrato all’inizio, con amici e nemici che cambiano e si scambiano di ruolo. La trama è un pretesto per scatenarsi in acrobazie marziali da vertigine, effetti speciali come non si sono mai visti, scene di una spettacolarità oltre l’umano, raffinatezze cromatiche e scenografiche da urlo. La Cina si presenta con questo film e altri di Zhang Yimou come Hero e La città proibita, sulla scena mondiale quale superpotenza cinematografica. Sublime. Io non mi stanco mai di rivederlo.
10. Full Metal Jacket, Premium Cinema Energy, h. 1,00. Uno degli Stanley Kubrick meno riusciti. È che questo suo film sul Vietnam e le ossessioni militariste arriva nel 1987, troppo tardi, fuori tempo massimo, quando il Vietnam è ormai lontano e si è già opacizzato nella memoria collettiva. Soprattutto arriva dopo Apocalypse Now e Il cacciatore, che sulla guerra in Vietnam avevano già saturato lo spazio cinematografico, e molto bene. Ma resta un film da rispettare: Kubrick è sempre Kubrick, ça va sans dire.
11. Un grido nella notte, Studio Universal, h. 21,10. Una delle massime performance di sempre di Meryl Streep, nei panni di una madre sospettata di aver ucciso il proprio bambino, in una storia straordinariamente simile al caso di Cogne (ed è il motivo per cui vale la pena rivedere questo film). Australia, 1980, dalle parti di Ayers Rock (posto sempre gravido di misteri, vedi anche Picnic a Hanging Rock di Peter Weir): la famiglia Chamberlain se ne va nel bush per una piccola vacanza. Nella notte il figlio più piccolo scompare. Portato via da un dingo, un cane selvatico, sosterrà la madre. No, ucciso da lei, sostiene l’accusa, supportata dai media e da un’opinione pubblica isterica. Ricostruzione di una vicenda realmente accaduta, cui il film (del 1988, diretto da Fred Schepisi) non dà risposta. Enigmatica Meryl Streep, bravissima nel tratteggiare l’ambiguità del suo pesonaggio.
12. The Road, Sky Cinema 1, h. 1,15. Un padre e un figlio percorrono un’America post-catastrofe, distrutta non si sa da chi e da che cosa, e cercano di sopravvivere tra insidie di ogni tipo, bande di predoni, cannibali feroci. Prometteva molto, questo film di John Hillcoat presentato a Venezia 2009 in prima mondiale e tratto dal libro che ha collocato lo schivo e scabro Cormac McCarthy tra gli autori da bestseller (grazie anche a Oprah Winfrey che con un’intervista allo scrittore lanciò The Road como solo lei riesce a fare). Un testo di partenza celebratissimo, interpreti di rango (Viggo Mortensen è il padre, Charlize Theron la madre rievocata in flashback): un film che sembrava destinato al successo, almeno nel circuito art house, e a ottenere nomination a tutti i premi. Invece niente, The Road è rimasto una promessa mancata, poco visto e subito dimenticato. Peccato, perché la storia è potente, Viggo è sempre Viggo, cioè oggi uno dei migliori attori sulla piazza. Ma forse a impedire il successo è stata la durezza della vicenda, già difficile da sostenere nella pagina scritta, ancora di più nel linguaggio inevitabilmente più diretto e realista del cinema.
13. La sconosciuta, Iris, h. 21,05. Non sono un fan di Tornatore, trovo piuttosto fastidiosi i suoi melodrammi epici e la sua grandeur spesso applicata al banale. Eppure amo questo film, e da quando l’ho visto non sono più riuscito a togliermelo dalla testa. La sconosciuta è una ragazza che viene dall’Est e lavora come colf in una famiglia medioborghese di Trieste. Ma il suo passato la perseguita, a poco a poco scopriremo l’orribile verità. Tornatore non rinuncia a se stesso. Certo, finge di essere minimalista, ma poi filma anche una semplice discesa per le scale di una signora anziana come fosse la carica di Balaklava, e affronta i tornanti psicologici della storia con turgore melodrammatico e la solita magniloquenza. Eppure funziona. Il mistero di questa donna (strepitosa Ksenia Rappoport nel rendere l’ambiguità del personaggio) riesce a riempire lo schermo, a fare spettacolo, inchiodare lo spettatore. Tutto è troppo, compresa la musica morriconiana, ma che importa? Noi ci appassioniamo alla vicenda della sconosciuta, e tanto basta.
14. L’occhio del ciclone, Sky Cinema Max, h. 21,00. Chi l’ha visto? Trattasi dell’ultimo film girato nel 2009 da Bertrand Tavernier, uno che al cinema ha dato parecchio nei decenni scorsi, e da noi mai uscito in sala. Dunque da recuperare. Trattasi oltretutto di un film girato in America, su una storia molto americana di un (presunto) serial killer di donne. Strano. Un film che da Tavernier non ti saresti mai aspettato.
15 ex aequo. Stop-Loss, Rai4, h. 23,50. Uno di quei film sulla guerra in Iraq nei quali Hollywood si batte il petto, si pente, esecra l’intervento militare Usa, sposa la visione pacifista, stigmatizza il tutto come una follia e una congiura dell’apparato politico-militare. Siamo insomma dalle parti di Nella valle di Elah di Paul Haggis e di Redacted di Brian De Palma. Qui si parla di un reduce da Baghdad, salutato al suo ritorno in patria come un eroe. Ma quando lo richiamano sul teatro di guerra lui obietta e si rifiuta di partire. Diserzione o coraggiosa ribellione alla guerra? Film di buone intenzioni in cui, come spesso accade in questi casi, il messaggio prevarica sul racconto. Con Ryan Philippe, Abbie Cornish (quella di Bright Star di Jane Campion) e Joseph Gordon-Levitt (visto in Inception e 500 giorni insieme).
15 ex aequo. Sotto il vestito niente, Sky Cinema Max, h. 23,05. Un cult dei Vanzina Brothers, di cui i due fratelli hanno appena licenziato nei cinema la tardiva parte seconda Sotto il vestito niente – L’ultima sfilata (e sono passati intanto ben 25 anni!). La storia è nota: un giallaccio con venature parapsicologiche ambientato nelle retrostanze della moda anni Ottanta e della Milano da bere. Il titolo fu preso dal bestseller firmato Marco Parma (dietro cui si celava il giornalista Paolo Pietroni), ma nel film dei Vanzina del libro non rimase nient’altro. Molto datato e molto rappresentativo dell’air du temps. Godibile. Naturalmente demolito dalla critica di allora, il che lo rende ancora più ghiotto.

SEGNALAZIONI
16. Mission, Sky Cinema Classics, h. 1,00.
17. Superman Returns, Premium Cinema, h. 21,00.
17. Parnassus, l’uomo che voleva ingannare il diavolo, Sky Cinema Passion, h. 21,00.
18. Frogs, MGM Channel, h. 22,40.
19. Into the Wild, Cult, h. 22,50.
20. L’erba di Grace, Sky Cinema Comedy, h. 21,00.
21. Il buio nell’anima, Premium Cinema Emotion, h. 22,45.
22. Alieni in soffitta, Sky Cinema Family, h. 23,00.
23.
Edmond, Rai Movie, h. 22,35. FREE
24. Tracce nella sabbia, Cult, h. 21,00.
25. Sam Whiskey, MGM Channel, h. 21,00.
26. Dogma
, Sky Cinema Comedy, h. 0,25.
27. Constantine, Premium Cinema, h. 23,40.
28. Io e Marley
, Sky Cinema Family, h. 21,00.
29. New in Town, Sky Cinema Hits, h. 22,50.

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