Recensione. LONDON BOULEVARD, un noir indeciso a tutto e piuttosto mediocre (però bravi Colin Farrell e Keira Knightley)

Un piccolo malavitoso appena uscito di galera cerca di rifarsi una vita passabilmente onesta. Chiaro che il destino congiurerà contro di lui. Una storia mille volte vista e scelta da William Monahan, già sceneggiatore oscarizzato del magnifico The Departed, per il suo debutto alla regia. Debutto tuttosommato deludente e incolore. Si salvano però gli attori, Colin Farrell in testa.

Farrell e Winstone


London Boulevard
, regia di William Monahan. Con Keira Knightley, Colin Farrell, Ray Winstone, David Thewlis, Jamie Campbell Bower, Anna Friel. Usa/GB 2010.

Knightley

Sarà citazionismo o mancanza di un pensiero originale? William Monahan, già sceneggiatore del formidabile The Departed (il miglior Scorsese dell’ultima decade), debutta qui alla regia (a 5o anni tondi) con una storia scritta ovviamente da sè medesimo – mica si butta alle ortiche una onorata professionalità – che è un accurato montaggio di pezzi prelevati da molti altri film già visti e amati. Sentite qua: il londinese Mitchel esce di galera e aspira al riscatto e a una vita passabilmente normale e non più criminale. Si tiene fuori da ogni brutta tentazione e dalle cattive compagnie, e va al servizio come bodyguard-tuttofare da una strana diva che a poco più di vent’anni si considera già in pensione, stufa di set e red carpet, piegata da una nevrosi che la fa vivere nel buio della sua casa, braccata impietosamente dai paparazzi britannici che si sa sono i più spietati del mondo (ripassare vita e morte di Lady Di per credere). Naturalmente, avendo tutti noi visto decine di film similari, sappiamo già che il buon Mitchel difficilemente ce la farà a vivere quella vita media che sogna, che il gorgo del suo passato sarà più forte di lui e del suo presente, e lo trascinerà giù giù. È una regola ferrea del noir di ogni tempo, un topos narrativo codificato e non mutabile: quando vedi un galeotto voglioso di rifarsi una verginitòà sociale, ecco che puntutalmente arriva qualcuno o qualcosa a impedirglielo. London Boulevard non fa eccezione, ovvio, anche perché ambisce chiaramente alla classicità, allineando archetipi e stereotipi del genere in ordine e anche disordine, appena corretti e rinfrescati alla luce della sensibilità odierna, molto cinica e disincantata e poco incline a perdersi in romanticismi troppo espliciti sugli angeli caduti della mala (Alain Delon di Frank Costello faccia d’angelo dove sei?).
Il guaio non è il plot zeppo di già visto e già sentito, il guaio è che il William Monahan sceneggiatore per tutta la prima parte del film affastella un’infinità di trame e sottotrame (la sorella schizzata e l’indiano innamorato, l’ex attore spiaggiato che veglia da agente-amico sulla diva, l’imberbe assassino di un barbone ecc.) senza sapere e soprattutto senza farci capire quale percorso voglia intraprendere. Entrano in campo figure e figurine di piccoli e grandi malavitosi – il boss sadico e innamorato delle sue vittime, l’amico pusillanime e abietto – che sembrano disancorare London Boulevard dal noir classico (alla Melville, alla RKO) per spingerlo invece verso il grotesque tarantiniano, ma anche alla Guy Ritchie, il Ritchie pre-Madonna dei piccoli film sul milieu londinese con i suoi tipi schizzati e cocainizzati. Ma non è così. Monahan si pente sempre di tutto e non appena imbocca una strada subito la abbandona, con il risultato di far pericolosamente oscillare il film nel vuoto di significato e di disorientare-scocciare lo spettatore. Nella seconda parte il film trova la sua direzione, ma è troppo tardi per rattoppare le troppe smagliature e i danni fatti. Il regista-sceneggiatore ha lasciato pure intendere in certe dichiarazioni, lo spudorato, che la divetta già rinchiusa a vent’anni nella sua casa mausolea fitta di foto sue, video suoi e capolavori di Bacon (della serie Cardinali), è nientemeno che una citazione della Norma Desmond di Viale dl tramonto, cui peraltro già si allude fin dal titolo. Peccato che sprechi questa miniera narrativa usandola solo per il prevedibile innamoramento del buon Mitchel con la ragazza, e per il gran rifiuto da lui opposto al boss di rubare i Bacon di casa, rifiuto che ovviamente pagherà caro.
Anche con queste smagliature, il plot nelle mani di un regista vero avrebbe prodotto comunque qualcosa di buono. Ma Monahan è solo un diligente metteur en scène senza grande personalità autoriale, che non fa errori clamorosi ma nemmeno riesce a imprimere un segno forte o purchessia al suo racconto. Sicchè alla fin fine la cosa migliore di London Boulevard restano gli interpreti. Colin Farrell come Mitchel prosegue nella puntigliosa ricostruzione della sua immagine d’attore dopo i disastri hollywoodiani alla Alexander e replica felicemente col suo malavitoso piccolo e pieno di dignità l’ottima prova già fornita in un ruolo simile nel molto migliore In Bruges. Keira Knightley, una delle più brave attrici giovani in circolazione e una delle più belle e carismatiche nonostante la magrezza scheletrica, dà alla sua star Charlotte la giusta dose di nevrosi, e con tutto quel vibrare e tremare e rattrappirsi in golfoni troppo grandi e troppo lungi e mangiucchiarsi le unghie sembra già pronta per un ruolo di femmina devastata in un prossimo Lars Von Trier (è capitato a Kirsten Dunst con Melancholia, perché non a lei?). Della solita, alta levatura british tutto il resto dela compagnia, il ritrovato David Thewlis, che è l’ex attore-agente rovinato da tutte le sostanze alteranti e possibili ma ancora lesto di mano e di pistola, Ray Winstone, il boss maniaco, Anna Friel, la sorella sciroccata.
[youtube http://www.youtube.com/watch?v=f3N1meSPBNs&w=560&h=349]

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