Un uomo politico non riesce a stare con la ragazza che ama perché una misteriosa casta di superumani glielo impedisce. Un po’ action e un po’ sci-fi (e un po’ romantic comedy), un film pomposo e ridicolo, pieno di sentenziosi discorsi sull’Umanità e il Destino che fanno venir voglia di scappare dal cinema. Una bufala che neppure un buon attore come Matt Damon riesce a salvare.
I guardiani del destino (The Adjustment Bureau), regia di George Nolfi. Con Matt Damon, Emily Blunt, Terence Stamp, Anthony Mackie, John Slattery, Shohreh Aghdashloo. Usa 2011.
Lo so che Philip K. Dick è un intoccabile, uno di quei nomi del Walhalla letterario cui ci si può (deve) solo inchinare con deferenza. Ma sarà concesso dire che questo I guardiani del destino, tratto da un suo racconto degli anni Cinquanta, è una vera ciofèca? O bufala, sola (con la o aperta), chiamatelo come volete. Uno dei peggio film visti ultimamente, che pure siamo in stagione cinematograficamente quasi morta e si butta fuori nelle sale di tutto. Nemmeno la presenza di uno bravo come Matt Damon, reduce dal successo del coeniano Il Grinta e dall’ottima prova attoriale di Hereafter, riesce a salvarlo, e ci si chiede anzi cos’abbia spinto uno come lui oggi al vertice della carriera – dico, uno che può scegliere tutti i film che vuole – a buttarsi masochisticamente in una simile impresa. Visto che ha mollato la bellissima saga di Bourne (quella che ha reinventato lo spy-movie influenzando perfino il nuovo Bond) per saturazione e stanchezza e per la voglia di misurarsi con altri ruoli, perché mai ha girato questo simil-Bourne solo molto, molto peggio dell’originale, anche perché in pretenziosa salsa philip-dickiana, che vuol dire pensosi pensieri sul cosmo e l’universo e i destini dell’umanità? Forse si è fidato dello sceneggiatore del terzo e ultimo Bourne, George Nolfi, qui al suo esordio come regista, ma non è detto che uno che sa scrivere sappia anche stare dietro la macchina da presa (non butta bene in questo momento per gli sceneggiatori di buon pedigree che si danno alla regia, vedi anche William Monagan e il suo medio-mediocre London Boulevard).
David Norris (Matt Damon, comunque perfetto) è un rampante politico genere obamoide (definizione di R.V.) in lizza per il Senato, e proprio quando è in testa a tutti i sondaggi il New York Post gli rovina tutto tirando fuori una foto di lui a sedere scoperto a una remota festa goliardica. Scandaletto e seggio senatoriale perduto. Proprio nel momento peggiore conosce per caso una strana ragazza, Elise, di cui si innamora seduta stante (bacio nel bagno degli uomini) e che gli ispira il discorso migliore della sua vita, quello che gli consentirà di risalire la china. Ma ahimè, c’è qualcuno-qualcosa che non vuole il loro amore. Trattasi di misteriosi figuri che si autodefiniscono Guardiani del Destino, una casta di superumani incaricati (da chi? perché? mah) di vegliare sugli umani affinché non combinino, vista la loro imperfetta natura, dei disastri. “Vi abbiamo lasciato soli per un po’ ed ecco che siete precipitati nei secoli bui del peggior Medioevo, ci siamo presi nel Novecento una vacanza e voi avete messo in piedi la Grande Guerra, il fascismo, il nazismo, l’Olocausto, la bomba atomica, il disastro ambientale”, sentenzia di fronte all’esterrefatto Matt Damon/David Norris un signore che sembra molto in alto nella gerarchia dei suddetti Guardiani (interpretato dal caro Terence Stamp, vecchio ma sempre bellissimo). Gli ultraumani, un po’ angeli e molto poliziotti cosmici, tengono d’occhio il povero Norris e non lo mollano un istante, programmandogli la vita e soprattutto cercando chissà perché di vanificare ogni suo disperato tentativo di riallacciare la storia con Elise, nel frattempo desaparecida.
Ora, vi pare sopportabile un film in cui dei signori con l’aria molto tirata e sinistra vestiti di grigio con Borsalino in testa si aggirano da una scena all’altra sparacchiando locuzioni come “Il Piano non lo prevede”, “Dobbiamo risettare e riconfigurare la tua mente”, “Difficile capire il suo Albero delle Decisioni”, “Qui si rischia l’Effetto Onda”, “Bisogna varcare le Porte Blu”, “C’è qualcuno di più potente sopra di noi, ma non posso dirti altro”, “Sarai convocato ai Piani Alti” ecc. ecc. Uno sciocchezzaio pronunciato con seriosità e sentenziosità inaudite, che sarà pure di derivazione Philip Dick ma che suona fastidiosamente ridicolo.
Siamo insomma dalle parti della fantascienza più pretenziosa e pomposa, quella che ci aduggia e annoia con i Grandi Discorsi sull’Umanità, e invece è solo kitsch, aspirazione al sublime mai supportata da un pensiero vero e dunque destinata a sprofondare nei bassifondi del gusto e dello stile. Non bastasse, qui si gioca anche con lo spazio-tempo, che ormai non se ne può più, con una frenetica corsa (che, va ammesso, è la cosa meno peggio del film) dei due innamorati attraverso porte magiche che li scagliano di volta in volta in altre dimensioni. Ora, per farcela con un materiale di questo tipo bisogna essere almeno Christopher Nolan, che nonostante le inverosimiglianze e le smagliature di script con Inception e Memento è riuscito a confezionare qualcosa di molto vicino al capolavoro. Bisogna essere dei registi veri, avere un’idea di messinscena, essere capaci di invenzioni narrative e, soprattutto, visive. Niente di tutto questo, I guardiani del destino ha una regia a encefalogramma piatto (e dialoghi risibili), il buon Nolfi non riuscendo mai ad andare oltre il compito diligente. Oltretutto, le due ore e più non passano mai: almeno il regista ci avesse dato dentro con un ritmo forsennato, invece la lentezza è tale che par di assistere a un film indiano anni Cinquanta, di quelli che ipnotizzavano gli spettatori per l’estenuazione e la contemplatività e venivano riveriti ai festival portandosi a casa leoni e palme. Spiace, alla fine, per Matt Damon e anche per Emily Blunt, che molto ci piacque come patetica segretaria sfigata del Diavolo veste Prada, e che qui incappa in una parte impossibile.
(Al prossimo film tratto da Philip K. Dick, io che non amai a suo tempo neanche Blade Runner, scappo: promesso).
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