Agorà
Al talentuoso spagnolo Alejandro Amenabàr (Mare dentro, The Others, Apri gli occhi) sul finire della scorsa decade viene la pazza idea di riesumare il peplum e di farne il veicolo di un discorso alto, nientedimeno che la storia (vera) di una filosofa. Lei è Ipazia, che nell’Alessandria (d’Egitto) del 415 dopo Cristo difende fiera la tradizione della filosofia greco-ellenistica e la libertà della ragione di esplorare i territori del sapere, ma ha il torto di non essersi convertita all’ormai dominante cristianesimo e se la deve vedere con i fanatici seguaci del vescovo Cirillo: i quali identificano nella sua figura, e nel paganesimo di cui è rappresentante, un nemico (un idolo?) da abbattere. Ipazia finirà orrendamente uccisa, il suo sapere disperso. Una brutta storia, in cui i cattivi sono i cristiani fondamentalisti e i martiri sono invece i non cristiani, e attraverso la quale Amenabàr sembra dirci che la fede può uccidere, e che i mostri dell’intolleranza sono sempre pronti a fare vittime. La vicenda è benissimo raccontata e messa in scena dal regista spagnolo (se si eccettuano certe sentenziosità nei dialoghi e un eccessivo didascalismo nello spiegare le teorie cosmiche di Ipazia), che genialmente riattraversa e recupera tutto il glorioso immaginario del peplum movie, uno dei generi che hanno fondato e fatto grande il cinema (si pensi solo a Cabiria). Certo per risparmiare si ricorre un po’ troppo al digitale, con quell’effetto di irreale nitore grafico e gelida perfezione che dell’uso del digitale è un fastidioso effetto collaterale. Ma i costumi (di Gabriella Pescucci) sono mirabili, memori della grande lezioni pasoliniana di Medea, e Rachel Weisz come protagonista è un incanto. Il film si fa vedere e amare, a dare fastidio semmai è certa polemica anticristiana e antiecclesiastica un po’ troppo Spagna di Zapatero, che fa venire in mente anche l’ateismo e l’anticlericalismo volgare di gente come Michel Onfray, e che rischia di fare di Agorà, al di là delle intenzioni del regista, un manifesto del neolaicismo più becero. Ma la storia di Ipazia resta una grande storia, e benissimo ha fatto Amenabàr a proporla. Film che quando fu presentato nel 2009 a Cannes non se lo filò nessuno, e che si è ripreso poi a poco a poco la sua rivincita sui mercati mondiali, richiamando al cinema soprattutto le donne che l’hanno adorato.
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