FILM STASERA IN TV: gli imperdibili 10 (lunedì 18 luglio 2011)

I migliori film della sera e della notte tv: la scelta è personale. Per la programmazione completa delle varie reti, consultare MyMovies Tv. Si prendono in considerazione solo i film che incominciano tra le 21.00 e la 1.00. Attenzione, la programmazione potrebbe cambiare. Buona visione.
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In un altro post, i film dall’11esimo posto in poi

1 ex aequo. La sottile linea rossa, Rete4, h. 23,15. FREE
Per chi (come me) ha amato The Tree of Life e per chi (moltissimi, la stragrande maggioranza degli spettatori italiani) l’ha detestato, ecco il gran film del nevrotico-fobico Terrence Malick – uno che non si fa mai vedere in giro e si sottrare al cannibalismo del circo mediatico semplicemente sparendo – che segnò il suo ritorno al cinema dopo decenni di blocco produttivo-creativo. Si mobilitò mezza Hollywood, da George Clooney a Sean Penn a Francis Ford Coppola, per trovare i finanziamenti e permettere a Terrence Malick di girare di nuovo un film a vent’anni dalla sua ultima regia (I giorni del cielo). Era il 1998, e quell’impegno collettivo segnalò, semmai ce ne fosse bisogno, dell’elevatissimo status e della stima di cui Malick godeva presso i suoi colleghi, e non solo. Ne nacque questo La sottile linea rossa che, pur con i travagli di lavorazione legati alle ben note ossessioni e nevrosi del regista (riscritture continue della sceneggiatura, cambi di attori, cancellazioni e inserimenti di ruoli all’ultimo secondo ecc., insomma tutto il repertorio Malick), non deluse le attese. Un manipolo di marines nella seconda guerra mondiale, fronte Pacifico, impegnati nella presa dell’isola di Guadalcanal, in uno degli scontri più cruenti del conflitto con i giapponesi. Uomini in guerra, le armi, il sangue, il massacro, ma intorno una natura che tutto avvolge con la sua perfetta bellezza. Malick può dispiegare al massimo il senso del paesaggio, che gli è così così peculiare (si pensi agli orizzonti immensi di I giorni del cielo), incrociandolo con un’altra costante della sua opera, il senso del male e della sofferenza. Cast all star da vertigine: Sean Penn, George Clooney, Jim Caviezel (che subentrò a Edward Norton), Adrien Brody, John Travolta, Woody Harrelson. Tagliati invece in fase di montaggio Mickey Rourke, Bill Pullman, Viggo Mortensen, Gary Oldman e Martin Sheen. Ma, nonostante le forbici, il film resta un immenso, epico affresco di tre ore. Orso d’oro a Berlino.
1 ex aequo. Fantastic Mr. Fox, Sky Cinema Family, h. 21,00.
[youtube http://www.youtube.com/watch?v=EX3spkFOR8A&w=560&h=349]Fichissimo film d’animazione, e di gran status cinefilo e fashionista, firmato da quel regista-idolo che è il Wes Anderson di I Tenenbaum. Questo Mr. Fox, uscito l’anno scorso, non è stato però quell’exploit che si sperava, anche se la qualità è indiscutibile e la mano di Anderson la si vede tutta. Come al solito nel suo cinema anche qui c’è una famiglia abbastanza incasinata, il signore e la signora Fox (che sono volpi, ovvio) e vivono con figlio e nipotino in un albero vicino alla fattoria di un manipolo di rozzi e anche barbari contadini. I Fox tentano di derubarli (sennò che volpi sarebbero?), e la vendetta dei contadini sarà implacabile, mettendo a repentaglio non solo la famigliola ma l’intero habitat. Urge contrattacco. Colori smaglianti che non possono non ricordarci l’eleganza modaiola degli indimenticati Tenenbaum, e quella stravaganza, quella surrealtà, quel frikkettonismo dell’anima che è l’altra cifra di Wes Anderson. Da un racconto di quell’incredibile scrittore-personaggio che è Roald Dahl, già ispiratore del timburtoniano La fabbrica di cioccolato (Dahl fu figura dai molteplici risvolti, eccentrico e di non facile classificazione; aviatore, spia e poi marito di Patricia Neal, attrice grandissima scmparsa l’anno scorso).
2. Mai di domenica, MGM Channel, h. 21,00.
[youtube http://www.youtube.com/watch?v=YCFXGanTx4A&w=425&h=349]Mitologico, davvero. Il film (anno domini 1960) che issò Melina Mercouri nell’alto dello star system del tempo e impose una delle colonne sonore più famose della storia del cinema, e non è un’esagerazione. Firmata Manos Hadjidakis, I ragazzi del Pireo fu canzone che imperversò, cantata dalla stessa Mercouri con voce arrochita e sensualmente mediterranea (ma anche con echi teutonici di Marlene Dietrich e Zarah Leander), nei jukebox di allora e venne coverizzata da innumerevoli cantanti (comprese Dalida e Milva per la versione italiana). La storia: il solito buon americano, ingenuo la sua parte, arriva ad Atene per certi suoi studi e si prende una sbandata per la Grecia e la sua classicità, il sole e per una prostituta di incontenibile energia e vitalità che è naturalmente Mercouri. Dietro alla macchina da presa Jules Dassin, che ha dovuto lasciare Hollywood da qualche anno dopo essere finito sulla lista nera del maccartismo e che coglie qui, nella sua nuova carriera europea, un successo di proporzioni mondiali: stabilendo anche con Melina Mercouri un sodalizio professionale e privato che ne farà una coppia leggendaria nel mondo del cinema, e che successivamente darà vita ad almeno un altro film memorabile, Topkaki. Questo Mai di domenica proprio bisogna vederlo.
3. Duello al sole
, 7 Gold, h. 21,10. FREE
Il più malato, perverso, morboso, melodrammatico, fiammeggiante western che mai sia stato fatto. L’amore tra la meticcia Perla e Lew, il bacato figlio del padrone, è amour fou nel senso più pieno e letterale. Inutilmente cercheranno di lasciarsi, si ritroveranno insieme e insieme moriranno da amanti-nemici, in una scena finale da storia del cinema. Impossibile dimenticare, impossibile non amare quel loro duello tra le rocce che, tra sangue e urla, è disperata, furibonda dichiarazione d’amore e si conclude in un abbraccio di corpi senza vita. Sì, qui eros e thanatos viaggiano davvero insieme, e non è una forzatura psicanalitica. È, semplicemente e soltanto, cinema. Grande coppia Gregory Peck-Jennifer Jones. Ma a risplendere è soprattutto lei, eroina folle e disperata. (informazioni sul film)
4. Concorrenza sleale, Iris, h. 21,05. FREE
Il film più interessante che ci abbia dato finora Ettore Scola nella fase più matura della sua carriera. Del 2001, è ormai lontano dai massimi successi del regista, e difatti apparve incongruo in quel cinema italiano di inizio Duemila che andava per altre strade. Non fu apprezzato dai critici e venne disertato dal pubblico, che non amò la storia troppo sottile e inquietante la sua parte di due commercianti di stoffe concorrenti nella Roma fascista di fine anni Trenta. Umberto è cristiano, Leone ebreo. Tutto si complicherà quando il governo fascista promulgherà le famigerate leggi razzialio, e la vita e il lavoro di Leone ne saranno colpiti inesorabilmente. Nei toni della commedia colta all’italiana si affronta quel tema ampiamente rimosso dalla coscienza di questo paese che è la persecuzione antiebraica nell’Italia del ventennio e poi repubblichina, persecuzione che portò alla deportazione di migliaia di ebrei nei lager. Tema scomodo, perché agli italiani è piaciuto pensare per molti decenni di essere stati verso gli ebrei assai più tolleranti di altri popoli, e invece l’orrore arrivò anche qui, e Concorrenza sleale ce lo ricorda. È uno dei pochi film del nostro cinema ad averlo fatto, insieme a Il giardino dei Finzi Contini (il più famoso), L’oro di Roma, Tutti a casa e qualche altro. Castellitto è Leone, Abatantuono è Umberto.
5. La promessa dell’assassino
, Rai4, h. 0,25. FREE
Una brava ragazza (Naomi Watts) di professione ostetrica resta invischiata senza volerlo e senza rendersene conto con la mafia russa a Londra. David Cronenberg alle prese con un film di gangster ne ricava un’opera personalissima, con un senso di minaccia costante, con umori maligni che tutto pervadono. Armin Mueller Stahl (cui è stato consegnato un premio alla carriera all’ultimo festival di Berlino) è un boss carismatico, spietato e allarmante. Ma a fare suo il film è Viggo Mortensen come bodyguard del boss, diviso tra la lealtà al capo e l’attrazione per Naomi Watts. Memorabile il suo corpo a corpo nel bagno turco, tra vapori e sangue.
6. Avatar
, Sky Cinema +24, h. 21,10.
La prima televisiva il 31 gennaio ha fatto il record d’ascolti per un canale satellitare, a conferma che Avatar continua a essere il film dei primati. Da qualuque parte lo si prenda un film evento, epocale, quello che ha stabilito il maggior incasso nella storia del cinema arrivando a realizzare, anche grazie al 3D e al circuito Imax, oltre due miliardi di dollari worldwide, per essere esatti 2.021.699.345 (dati presi dal sito Mojo Box Office). Cifra paurosa. Ma epocale Avatar lo è anche per l’uso della tecnologia e degli effetti speciali, mai così grandioso e consapevole e mai così ben finalizzato alla narrazione, che lo trasforma in esperienza polisensoriale per il nuovo, scafatissimo spettatore globale, ormai aduso a (ir)realtà virtuali e mondi paralleli grazie alla dilagante digitalizzazione. James Cameron confeziona l’ennesimo dei suoi prodotti ad altissima spettacolarità, aggiungendovi quel senso del mistero, dell’alterità, degli universi inesplorati che lo ha sempre attratto, fin dai tempi di Abyss. Questo Avatar è una fantasmagoria barocca che non si nega nulla per risucchiare dentro di sè lo spettatore e immergerlo in un modo di sogni, incubi e visioni. Cameron in questo è il più grande, non c’è George Lucas che tenga al confronto, e i tanti signori e signorotti del gigantismo cinematografico, da Peter Jackson a Terry Gilliam a Tim Burton, al suo confronto sembrano ragazzetti che giocano con le figurine. Davvero, e non è solo uno slogan promozionale, Avatar ha spinto parecchio in là i confini del cinema, e ha segnato uno spartiacque. C’è un prima e un dopo-Avatar, piaccia o meno. Quel che riesce meno bene a James Cameron è mettere in piedi una storia all’altezza della messinscena. Se la trovata degli avatar fabbricati in laboratorio perché attraverso di loro gli umani possano sbarcare sul pianeta Pandora è geniale, quel che segue lo è meno. Il paradisiaco pianeta ove gli abitanti sono blu e puri e buoni, e tutti vivono in armonia con la natura in una specie di ecosistema globale in cui ogni cosa è interconnessa all’altra, è per dirla tutta una stupidata, l’ennesima proiezione delle utopie organiciste, comunitaristiche, ecologiste che da qualche decina d’anni a questa parte ci affliggono. Così come è ridicola la demonizzazione degli umani e dei loro apparati politico-militari (che adombrano la potenza imperiale americana), che vogliono colonizzare Pandora per poter mettere le mani su certe preziose miniere. Ma dài. Messo in cantiere nei momenti più critici dell’intervento americano in Irak, Avatar è apparso un manifesto pacifista-ecologista molto antibushiano e già molto politically correct e obamiano. Certe sequenze sono ridicole e imbarazzanti, come i pandoriani allacciati in circolo per trasmettere l’energia mentale. Ma che importa, quel che conta è il senso del meraviglioso che Cameron riesce a comunicarci.
7. L’uomo dal braccio d’oro, RaiTre, h. 0,50. FREE
[youtube http://www.youtube.com/watch?v=mnX9fXOfP0I&w=560&h=349]Leggendario Otto Preminger del 1955. Leggendario perché affrontava un tema forte e allora davvero tabù come quello della droga, che nella fattispecie è l’eroina di cui è consumatore il protagonista Frank Sinatra. Sensazionale e anche sensazionalistico, visto che nulla ci viene evitato su crisi d’astinenza, ricerca ossessiva della dose e insomma tutto il repertorio dell’addiction peggiore. Titoli di Saul Bass, magnifici, che hanno fatto storia, musiche (jazz) di Elmer Bernstein. Quando la droga era un vizio di pochi che sgomentava le masse, prima di diventare un vizio di massa. Con Kim Novak, dolce presenza femmminile che cerca di alleviare i tormenti del protagonista.
8. Lord of War, Premium Cinema, h. 21,15.
Così un uomo qualunque diventa mercante di armi nel mondo di oggi senza più coordinate etiche. Un ucraino immigrato negli Stati Uniti vuole fare soldi e realizzare in fretta il suo personale American Dream, e non trova di meglio che trasformarsi in trafficante di mitragliatori, missili terra-aria e tutto quanto la tecnologia micidiale-militare mette a isposizioni dei vari signorotti della guerra dislocati nel mondo. Dirige l’Andrew Niccol del non dimenticato Gattaca, e ne esce un film quasi esemplare e perfino brechtianamente didattico sulle derive contemporanee. Il rischio, in questi casi, è che si cada nell’indignazione moraleggiante del signora mia come siamo finiti in basso. L’altro rischio, che sempre accompagna questi film, è l’involontario (involontario?) feticismo delle armi, mostrate e filmate sensuosamente come irresistibili oggetti del desiderio. Lui è un Nicolas Cage più sopportabile del solito.
9. Il gladiatore
, Joi, h. 21,15.
Visto, stravisto. Ma perché non rivederlo un’altra volta? Non ho mai amato Ridley Scott quando (cioè spesso) se la tira da maestro del cinema. Ma quando, come qui, si dà onestamente al film di genere, devo dire che è tra i migliori artigiani in circolazione. Il gladiatore è forse il suo capolavoro, perché è spettacolo puro, senza se e senza me. Soprattutto perché riporta genialmente in vita il peplum, genere glorioso che, dopo aver dato molto al cinema, sembrava sparito per sempre, causa presunta incompatibilità con il sentire contemporaneo. Invece la coppia Ridley Scott-Russell Crowe lo resuscita e ne dimostra l’intatto potere di incantamento.
10 ex aequo. Diverso da chi?
, Canale 5, h. 21,20. FREE
Tentativo italiano abbastanza riuscito di fare una commedia sul gaysmo all’altezza di quelle internazionali. Senza cioè quei vetusti cliché italici e andando finalmente oltre l’eterno dramma-dilemma “lo dico o non lo dico a mamma e papà che sono gay?”, che per esempio si ritrova ancora in Mine vaganti di Ozpetek. Qui il protagonista, un buon Luca Argentero, è uno di quegli omosessuali pacificati ed omologati del giorno d’oggi che vivono col compagno nell’approvazione generale, compresa quella delle rispettive famiglie. Una coppiettina perbene e carinissima, perfino noiosa. Lui, Argentero, si butta in politica senza nascondere la gaytudine anzi facendone un punto di forza, imparando da esempi stranieri tipo il sindaco di Parigi Delanoë e anticipando il boom di Nichi Vendola. Tutto funziona finchè un’amica-nemica politica, la bacchettona Claudia Gerini, non si innamorerà di lui. E lui di lei. Commedia degli equivoci ben scritta dal bravo Fabio Bonifacci (lo stesso di Amore, bugie e calcetto e Si può fare) che a un certo punto se ne frega del politically correct e ribalta tutto facendo innamorare il gay di una donna. Non solo, sarà costretto a nascondere il suo amore eterosessuale a tutti, perfino alla famiglia e agli elettori, in un rovesciamento radicale e paradossale che non sarebbe dispiaciuto a Lubitsch. Che Bonifacci tenga d’occhio l’esprit viennese e la Mitteleuropa, quella che inviò a Hollywood non solo Lubitsch ma anche Wilder e von Stroheim, lo si capisce anche dalla scelta di Trieste come location della storia. Solo che il film cade nella parte finale dove, non sapendo più che pesci pigliare, cerca di accontentare tutti. Peccato. Il regista Umberto Carteni se la cava dignitosamente, la Gerini eccede un po’. Il migliore è Filppo Nigro, il fidanzato tradito di Argentero. Però avercene di commedie così da noi.
10 ex aequo.
Black Hawk Down, Sky Cinema 1, h. 0,25.
Bellico testosteronico del 2001 di Ridley Scott che va molto al di là del genere. Trattasi difatti del primo film sulle nuove guerre, quelle che scoppiano da qualche parte lontana del mondo e nelle quali l’Occidente è coinvolto in ambigue missioni dette di pace per paura di chiamarle con il loro nome e di allarmare l’opinione pubblica. Black Hawk Down ricostruisce un episodio cruciale degli ultimi decenni nei rapporti tra Stati Uniti (e Occidente) e paesi terzi, il massacro di un gruppo di soldati delle forze americane inviate in Somalia. Siamo nel 1992, il paese del Corno d’Africa si è inabissato in una crisi senza fine che alla carestia endemica aggiunge i conflitti tribali tra i vari signori della guerra. Senza più un governo e senza più un centro (e la crisi continua ancora oggi), e con il rischio di un genocidio, la Somalia diventa un problema internazionale. Washington decide di mandare, nell’ambito dell’operazione Unosom sotto egida Onu, una forza di pronto intervento per un periodo limitato di tempo: un’apparente missione di peacekeeping che sarebbe diventata per gli americani una trappola. In un raid contro il quartier generale di Aidid, il più potente signore della guerra somalo, i marines rimangono incastrati, 18 di loro moriranno, alcuni orrendamente trucidati e trascinati per le strade di Mogadiscio a perenne monito. Fu uno shock per l’opinione pubblica americana che spinse il presidente Clinton a ritirare le truppe. Il film di Ridley Scott ricostruisce quell’episodio traumatico, e lo fa secondo i canoni del più puro film bellico e d’azione contemporaneo, con ritmi vertiginosi e tensione adrenalinica. Il primo obiettivo del film è lo spettacolo, com’è nella tradizione del produttore Jerry Bruckheimer. Ma, rivisto oggi, in tempi di interventi in Afghanistan e in Iraq, e con un mondo sempre più complesso e destabilizzato, Black Hawk Down ci appare attuale e interessante soprattutto perché ripropone il dilemma fondamentale, per gli Stati Uniti e per l’intero Occidente, su che fare o non fare in simili crisi. Un film imperfetto, anche troppo lungo, che non riesce ad essere l’Apocalypse Now di Ridley Scott come fors’era nelle ambizioni di partenza, ma che per primo sa restituire il senso di smarrimento dei militari d’Occidente dislocati in territori del mondo islamico non solo lontani geograficamente ma culturalmente, antropologicamente ostili, di cui non si riescono a penetrare le ragioni e i valori. Nel cast la meglio gioventù della Hollywood di inizio Duemila, Ewan McGregor, Eric Bana, Josh Hartnett, più il veterano Sam Shepard.

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