Una settimana sotto l’acqua (ma adesso sole). Mein Gott, quanto ha piovuto. Fino a tre giorni fa un’acqua che neanche a novembre, come se il diluvio dovesse ripulire e portarsi via chissà quali colpe di questo festival. Per una manifestazione che ha il suo clou e il suo orgoglio nelle proiezioni serali in Piazza Grande (‘il più grande cinema all’aperto d’Europa’ come dicono qui), ammetterete che è stato un bel problema. Il programma outdoor è stato falcidiato, anche se la gente ha dato prova di una tempra per me insospettabile, affollando sempre, perfino sotto veri diluvi, la piazza, proteggendosi con ombrelli e impermeabili di tutti i colori, in una enorme, collettiva quanto involontaria citazione cinefila di Les parapluies de Cherbourg. Uno spettacolo formidabile. In migliaia seduti imperturbabili e con svizzero aplomb ad aspettare che il diluvio smettesse, e qualche volta la pazienza è andata premiata.
Tra un acquazzone e l’altro si son visti film, si sono applauditi divi. Harrison Ford ha ritirato il suo Pardo alla carriera al riparo di un ombrellone piazzato sul palco, accompagnato dagli interpreti di Cowboys & Aliens Daniel Craig (pubblico in delirio) e Olivia Wilde.
Garantisco che andarsene in giro da una sala all’altra con ombrello, computer e altro mentre la pioggia cade e cade, è un bell’esercizio di resistenza. Ma insomma, siamo tutti allegramente sopravvissuti al diluvio, e adesso si va di festival finalmente al sole (tornato, per strana coincidenza, più o meno quando si proiettava Sotto il sole di Satana di Pialat alla presenza di Gérard Depardieu).
Troppa roba. Come frequentatore di manifestazioni cinematografiche sono un quasi debuttante (fatto altro nella vita finora), dunque ripercorro solo adesso la curva degli entusiasmi e delle frustrazioni e ossessioni che i festivalieri di lungo corso conoscono già molto bene. Esempio, come si fa a scegliere quando ti trovi davanti un programma di 200 e passa film? Io ho deciso, giusto o sbagliato che sia, di vedermi tutti i titoli del Concorso internazionale, vale a dire la sezione principale, quella dei film in corsa per il Pardo d’oro. Poi il più possibile dei film di Piazza Grande e dei Cineasti del presente, la seconda sezione competitiva per importanza. Più vari ed eventuali (come Tahrir e il docu di Luca Guadagnino Inconscio italiano). Vuol dire quattro-cinque, anche sei film al giorno, di più non si può, anche se ci sono festivalieri estremi con performance da Guinness. Si incomincia alla mattina alle 9 (ieri alle 8.30) si finisce anche dopo mezzanotte. Il peggio è che per quanto ti sforzi ti resta sempre il rimpianto di quello che ti sei perso. C’è una magnifica restrospettiva di Vincente Minnelli, e non sono riuscito a vedere un film (ieri hanno dato The Sandpiper, mélo con Liz Taylor, quando mai lo ripescherò?), ci sono dei fuori-concorso imperdibili come i film dello spagnolo Serra, e che invece ti perdi semplicemente perché non ce la fai.
Il film più bello è sempre quello che non hai visto. Ti sbatti, cerchi di scegliere al meglio, ma c’è sempre quel maledetto retropensiero che ti perseguita: se proprio quello che non ho visto fosse il miglior film del festival? Magari il capolavoro destinato a segnare la storia del cinema? Ad esempio, ho visto che la stampa francese parla strabene dell’argentino El Estudiante, sezione Cineasti del presente. E IndieWire scrive dell’uzbeko-coreano Hanaan: “Un The Wire girato da Bresson”: addirittura. Naturalmente mi sono perso l’uno e l’altro. Però c’è la possibilità del repêchage alla Digital Library, dove ti puoi rivedere su Mac molti film già proiettati (però anche lì bisogna trovare il tempo).
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