Le amiche della sposa (Bridesmaids).
Regia di Paul Feig. Interpreti: Kristen Wiig, Maya Rudolph, Rose Byrne, Melissa McCarthy, Ellie Kemper, Wendi McLendon-Covey, Jon Hamm, Chris O’Dowd, Matt Lucas, Jill Clayburgh. Sceneggiatura: Annie Mumolo, Kristen Wiig. Usa 2011.
Annie è la damigella d’onore dell’amica Lillian, ma prima di arrivare al giorno del matrimonio ne succederanno di ogni. Si ride molto, in questo film tutto femminile fatto di complicità, ma anche di perfidie e veleni. Un film che incredibilmente riesce a tenere insieme la commedia goliardica e scurrile con quella romantica. Perché poi il sogno di tutte in Le amiche della sposa è l’amore, è il bel matrimonio.
17o milioni di dollari sul solo mercato nordamericano sono un bell’incasso per questa commedia tutta di donne, ma non solo per le donne. Una cifra così – che fa di Bridesmaids la sorpresa del box office Usa dell’estate – non la metti insieme se non riesci a catturare oltre al pubblico femminile, primo e naturale destinatario del film, anche quello di mariti, fidanzati, compagni e quant’altro. Un miracolo di marketing dietro al quale c’è il talento di una nuova (almeno dalle nostre parti) comica che di nome fa Kristen Wiig, protagonista e anche coautrice dello script insieme a un’altra signora, Annie Mumolo; soprattutto c’è quel genio di Judd Apatow, uno che non sbaglia un colpo, the king of the new american comedy, qui ufficialmente solo coproduttore ma si suppone qualcosa di più, supervisore e suggeritore. Scorrendo la biografia di Mrs Wiig, bionda trentenne e qualcosa, mediamente carina con naso visibilmente ridisegnato, si scopre senza alcuna sorpresa che anche lei viene da quel serbatoio comico che è il Saturday Night Live, lo stesso vale per altre del cast, come Maya Rudolph, che è poi la sposa. Il marchio di fabbrica del SNL è subito riconoscibile, gag apparentemente sgangherate e invece costruite con implacabile e inesorabile precisione allo scopo, quasi sempre raggiunto, di far ridere, cui si agggiunge un po’ di surreale, parecchio demenziale, parecchia scurrilità. Una ricetta che Kristen Wiig ha imparato molto bene e che sa applicare con la stessa abilità con cui la sua Annie nel film prepara dolci, buoni e anche belli a vedersi.
Ma in fondo Le amiche della sposa è, sebbene travestita da commedia demenziale e perfino volgare la sua parte, una romantic comedy delle più classiche. Tutte le ragazze, a partire dalla protagonista Annie, sognano il grande amore e il bel matrimonio, il manipolo di signore e signorine che si sbattono davanti ai nostri occhi o sono già accasate o stanno per farlo o non vedono l’ora di farlo. Nessuna che si metta il vetero-tailleur della donna in carriera. Neanche l’amica obesa, la più greve e scurrile di tutte, rinuncia alla sua parte di romanticismo e sogno matrimoniale. La prima regola per tutte è trovare un maschio appetibile, la seconda un maschio appetibile che sia affidabile e ti porti all’altare (o qualcosa che gli assomigli) e resti con te fino alla fine dei tuoi e suoi giorni. Un sogno che ritorna clamorosamente e che è un segno dei tempi. Queste, ci avverte il film, sono le donne di oggi, nonostante le apparenze simili a quelle dell’altro ieri e forse di sempre, e molto, molto lontane dalle emancipazioniste degli anni Settanta. La distanza da quell’era è marcata dalla presenza in Bridesmaids di Jill Clayburgh nella parte della madre un po’ sciroccata di Annie, una che anche se non ha mai bevuto un goccio di vino partecipa alle riunioni degli alcolisti anonimi, sì, quella Jill Clayburgh, qui nella sua ultima interpretazione prima della scomparsa (e la si vede abbastanza segnata dalla malattia) che fu la faccia e il corpo di uno dei film-manifesto del femminismo di oltre trent’anni fa, Una donna tutta sola (1978, regia di Paul Mazurski). Là una donna rinunciava a tutti i suoi possibili legami per raggiungere in solitaria il traguardo della propria realizzazione (liberazione?), adesso in Le amiche della sposa non ce n’è più una che le assomigli, tutte per autorealizzarsi cercano un uomo e un anello al dito.
Annie è una trentenne con qualche bruciatura amorosa, esistenziale e professionale alle spalle e sulla pelle: un’attività in proprio come pasticciera le è andata male, di fidanzati veri non c’è traccia, c’è solo un bastardo, che è poi il bellone sexy di Mad Men Jon Hamm, con cui va a letto ma che oltre al letto non le concede niente (“Le regole le sai, da me non si dorme, si fa l’amore e poi te ne vai”). La saggia amica d’infanzia Lillian le consiglia di mollarlo (“dopo che l’hai visto sei sempre giù, vuol dire che non ti fa bene”), ma Annie tutte le volte ci ricasca, anche perché mica è facile dire di no a Jon Hamm, per l’appunto. Arriva la grande notizia: Lillian si sposa con il suo Doug e naturalmente sarà Annie la damigella d’onore, che da quelle parti (Milwaukee, Wisconsin) vuol dire anche sobbarcarsi l’organizzazione di un sacco di impicci, dall’addio al nubilato alla cerimonia di nozze vera e propria. Una responsabilità che stroncherebbe anche una più assertiva e con più autostima di lei, che è invece una dolce e tenera sfigata con (direbbero le psicologhe che concionano sui femminili e nei talk) una preoccupante quanto sistematica tendenza all’autosabotaggio, una combinadisastri per sè e per gli altri. Al party di fidanzamento conosce il gruppo di ragazze che daranno vita al damigellato (si potrà dire?, be’ diciamolo) di Lillian. C’è l’obesa di cui sopra di straripante sboccataggine e energia, c’è la ragazza ammodo che con il fidanzato fa l’amore solo dopo doccia di entrambi e rigorosamente al buio e con immediata doccia post, c’è la sposata già parecchio disperata anche per via del marito che fa sempre sesso con lei però non la bacia più (“non ne posso più di essere penetrata tutti i giorni”) e, soprattutto, disperata per i tre figli maschi in tempesta ormonale adolescenziale con susseguente permanente olezzo spermatico-testosteronico diffuso in casa. C’è soprattutto Helen, l’odiosa Miss Perfezione che non manca mai, non può mancare in un film di donne, e che naturalmente ruba subito la scena alla povera Annie e cerca di scalzarla, lei che è amica della sposa da poco, dall’agognato ruolo di damigella d’onore. Il duello al microfono tra loro alla festa di fidanzamento è uno dei momenti più riusciti, e uno dei più acidi. Naturalmente Helen è messa lì apposta per far risaltare per negativo tutta la fragilità di Annie, che dovendo aiutare Lillian finisce in realtà col rovinarle tutto. Il prematrimonio è un disastro dopo l’altro provocato da Annie Miss Imperfezione. È qui che il film svela il suo fondo amarissimo che neppure i toni della commediaccia greve riescono a occultare, la sua malinconia, il suo essere il ritratto dell’inadeguatezza femminile, un fantasma che perseguita molte donne, che è spesso la loro ombra, e che è anche il tema di uno dei grandi successi decretati proprio dalle donne in questi ultimi ultimi anni, Black Swan. Stranamente ma neanche tanto, vedendo certi passaggi di Bridesmaids, e certa disperazione di Annie, mi è venuta in mente la Nina del film di Aronofsky, le due son sorelle più di quanto non sembri, anche se i registri adottati nei due film sono diversi e perfino opposti.
Annie rischia di inabissare il matrimonio di Lillian e la loro stessa amicizia, ma poi naturalmente tutto si aggiusta. Siamo in America, no? E siamo a Hollywood, siamo in una commedia dopotutto. Il film immalinconisce un po’ ma solo un po’, per il resto cerca di far ridere, anzi di sghignazzare e ci riesce. C’è l’amicizia tra ragazze ma ci sono anche le perfidie, le rivalità, i veleni, le liti anche violente, come ci ha fatto spesso vedere la vita e come ci ha fatto vedere anche il cinema o il cinema-tv all-female, da Donne di Cukor a Piccole donne a quell’opera fondativa che è stata, ed è, Sex and the City (il serial). Il tutto svariando tra tutti i toni della commedia possibili. Però i tempi che viviamo sono quelli che sono, dunque prevale il demenziale e soprattutto il burino-volgare che viene dritto dalla commediaccia maschile di cui appunto Judd Apatow è tra i massimi esponenti. Cosicchè anche qui, mentre si parla di abiti di nozze e dintorni, di regali alla sposa e quant’altro, abbondano i riferimenti escrementizi, il parlar grosso, i richiami sessuali forti e diretti. E vien da pensare che questo resta della stagione dell”emancipazione femminile, il diritto, o il dovere chissà, di essere sboccate quanto gli uomini. Le scene di comicità pesante in Le amiche della sposa abbondano, dal volo pazzo verso Las Vegas alla prova degli abiti nell’atelier sciccoso, dove il bianco dominante dell’ambiente viene sconciato e insozzato da deiezioni e secrezioni e vomiti delle nostre (colpa di un maledetto churrasco al ristorante brasiliano). D’altra parte, non si fanno soldi al box office se non si accontenta in qualche modo anche il pubblico maschile adolescente. O forse no, forse anche ragazze e signore oggi amano ridere così.
Il film funziona abbastanza bene, ma qualche difetto ce l’ha. È troppo lungo, due ore sono francamente eccessive, almeno venti minuti sono superflui. Ma la lunghezza è dovuta alla fatica di tenere insieme toni e registri così diversi, la commedia romantica e quella scurrile, il cinema di gag e quello di caratteri. I passaggi da un registro all’altro richiedono ammortizzatori e camere di decompressione, e questo allunga irrimediabilmente il brodo. Poi c’è la traiettoria di Annie, che da imbranata e sfigata si deve riscattare, deve cadere e poi risorgere, e anche questo richiede il suo tempo. E c’è la storia di lei con il poliziotto, telefonatissima, e anche questa bisognosa di una qualche sforbiciata. Difetti tuttosommato veniali per una commedia abbastanza nuova nel panorama dei film al femminile, che si barcamenta tra generi diversi e fino all’atroieri incompatibili, come la commedia di sentimenti e la commediaccia. Con un dubbio che non sono riuscito a togliermi: come mai la sposa, che mi pare bianca, anzi (come si dice nei polizieschi) di razza caucasica, ha per padre un signore inequivocabilmente nero? Forse mi sono perso qualche passaggio. Se qualcuno mi spiega gliene sarò grato.
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