Impardonnables, regia di André Téchiné. Interpreti: André Dussollier, Carole Bouquet, Adriana Asti, Mélanie Thierry, Mauro Conte.
Il film viene proiettato stasera 30 agosto alle 20,30 in Campo San Polo a Venezia nella pre-apertura di festival, come omaggio a André Téchiné, membro della Giuria.
Un pugno di sradicati in un’isola veneziana che non è la solita Venezia. Si amano, si sfiorano, si fanno del male, si lasciano, si ritrovano. Cinema dello spaesamento, della precarietà esistenziale, dell’esilio. Puro Téchiné. Notevole, elegantemente straziante, ma siamo lontani dal capolavoro del regista francese, Loin.
Deracinés. Esuli esistenziali. Gente che scappa non si sa da chi e che cosa, e verso cosa. Vite in transito, di chi non sa dove fermarsi, o ha paura di farlo. Il cinema di André Téchiné è questo, è cinema dello spaesamento e dello sradicamento, di vite incompiute in cerca di un altrove che si rivela sempre fragile e precario. In questo nomadismo che è esistenziale e geografico rientra anche Impardonnables (Imperdonabili), bellissimo titolo di un film che non mantiene tutte le promesse, anche se si situa al livello molto degno del cinema del suo autore, che quest’anno è nella giuria della Mostra di Venezia, e speriamo che il suo mestiere e la sua sensibilità aiutino ad assegnare buoni premi. Vedremo.
Intanto la Mostra gli tributa un omaggio con la presentazione domani sera 30 agosto in Campo San Polo in prefestival (l’apertura ufficiale è il 31) proprio di questo Impardonnables, il suo ultimo film presentato a Cannes sorprendentemente non in concorso ma alla Quinzaine, e che sono riuscito a vedere lo scorso giugno a Milano nella Rassegna Cannes e dintorni nell’unica proiezione, affollatissima, al cinema Mexico. Certo che rivederlo in Campo San Polo è un’altra cosa, è come se il film tornasse a casa, visto che è stato girato a Venezia, orizzonte e linea di fuga e gabbia delle vite erranti dei suoi protagonisti, mai così téchiniani. La laguna come la Tangeri di Loin, il capolavoro del regista francese, e di I tempi che cambiano. È però una Venezia defilata e periferica, rurale, verde, con filari di vite, aie su cui si svolgono feste di nozze con canti veneziani, e battute rigorosamente in lingua veneziana. L’Isola di Sant’Erasmo non è una tappa privilegiata del gran tour in città, e consente al regista di guardare al resto di Venezia, così stravista e così rappresentata da essere quasi irrappresentabile, da lontano, da un punto di vista non desueto. Anche le scarse scene di campielli e calli e gondolame e vaporetti cercano di rifuggire, e ci riescono, dall’oleogafia
All’Isola di Sant’Erasmo approda dunque Francis (André Dussollier), autore parigino di bestseller seriali in ansia di scrittura per il prossimo romanzo, e in cerca di un posto tranquillo per incominciarlo (e finirlo). Lo convince a prendere quella casa in mezzo ai campi, così poco veneziana, Judith, francese anche lei, ex modella insabbiata a Venezia per non si sa quale motivo e ora titolare di un’agenzia immobiliare per stranieri. Tra il piacione Francis e Judith succede subito qualcosa, e i due diventano una coppia (lui è André Dussolier che alla sua età – anni 65 – coninua a fare il gran seduttore, lo ha fatto anche nell’ultimo Resnais, Les herbes folles, lo fa qui esibendosi in ardimentosi amplessi con Judith, una Carole Bouquet dal viso porcellanato e come sempre di bellezza algidamente perfetta). Arrivano intanto sull’isola, e ruotano intorno a Francis, altri personaggi maggiori e minori, erranti o misteriosamente insabbiati, tutti irrequieti, irrisolti, in cerca di qualcosa. C’è Anna Maria, già amante di Judith e ancora innamorata di lei, che nonostante il suo lesbismo ha avuto un figlio, e a un’età cui è difficile che i figli arrivino ancora, un ragazzo oggi 24enne, appena uscito di galera. Lei è un’Adriana Asti dai capelli rossi che in un francese colto e scolpito domina la scena e sa farci accettare tutto del suo improbabile personaggio (una detective lesbica!) con un’autorità che non consente discussioni. C’è la figlia di Francis, che viene a fargli visita piena di rancori lasciandogli la nipotina e subito scompare con un aristocratico veneziano implicato in tutti i più loschi traffici della laguna, e che in segno di sfregio manda a papà Francis un video hard con il nobilastro. C’è il marito della figlia, che viene a cercarla, e se ne dovrà tornare senza di lei. L’amore tra Judith e Francis funziona, solo che lui è piombato in crisi creativa e non riesce a scrivere. Tornare a casa o restare in esilio? Tutte queste traiettorie, questi archi di esistenze si sfiorano si incrociano, qualche volta creando punti di rottura e più spesso no. Francis piomba nella più stupida delle gelosie e incarica il figlio di Anna Maria di pedinare Judith (e il risultato sarà una beffa per Francis).
Alla fine del film ci sarà un funerale, che raduna tutti o quasi i protagonisti. Nel frattempo ognuno avrà deciso se proseguire nella deriva o fermarsi. Quella rete di rapporti che, seppure mobile e elastica, ha tenuto insieme le varie vite si sfalda, e ognuno torna a vagare cone pulviscolo nell’aria. Non c’è niente di più di questo nel film, però non è poco. Bisogna amare Téchiné (io lo amo) per provare interesse per questi personagg di sradicati senza clangore, senza drammi e melodrammi, segnati però da un disagio che non se ne va mai. Film malinconico, mai tragico anche se qua e là straziante, di un autore che sa trattare con rispetto e civiltà le sue figure. Non c’è lo spaesamento assoluto di Loin, Venezia, anche raccontata un punto di vista marginale e non consueto, non viene e non può essere sottratta del tutto alla sua oleografia , e dunque non è un altrove che possa davvero sorprenderci. L’altro limite di questo civilissimo film è una cert’aria di decrepitezza, e non è la solita Venezia che affonda e marcisce a comunicarcelo. L’ultrassessantenne Dussollier che seduce e ama e conquista e riconquista come se il tempo si fosse fermato a trent’anni prima, qualche imbarazzo lo suscita. Lo stesso succedeva, anzi peggio, in Gli amori folli di Resnais, dove lui e la coetanea o quasi Sabine Azéma cinguettavano come ragazzini. Ma non c’è nulla di più avvizzito delle performance sopra e sotto il cuscino di chi simula una eterna giovinezza che non c’è. Anche Christophe Honoré ci mostra signori e signore di terza e quarta età fare l’amore (la Marie Christine Barrault di Non, ma fille, tu n’iras pas danser e la coppia Catherine Deneuve-Milos Forman del suo ultimo Les bien aimés), ma lì è amore anziano, legittimo, rispettabile, mostrato per quello che è, con le sue rughe e le sue carni tremule e caduche, non spacciato per quello che non può più essere, come invece succede in Impardonnables.
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