Venezia 2011. ‘Un été brûlant’ con Monica Bellucci (recensione)

Un été brûlant di Philippe Garrel. Con Monica Bellucci, Louis Garrel, Céline Sallette, Jérôme Robart. Presentato a Venezia 68 in concorso.
C’è chi odia la Bellucci, e sghignazza e la fischia per partito preso non appena appare sullo schermo. È successo anche con Un été brûlant di un maestro come Philippe Garrel. Bellissimo film di deragliamenti sentimentali, di sconfitte esistenziali, di romanticismo trattenuto eppure esplosivo e devastante. E Monica è di malinconica e sontuosa bellezza. Eppure è il film che finora è stato accolto peggio. Che vergogna.

Qui a Venezia c’è un partito anti Bellucci, composto suppongo soprattutto da giornalisti italiani. Si sa, la signora è da sempre malamata in casa nostra, considerata una bonazza stalentata che mai avrebbe dovuto fare l’attrice, e che ha rubato pane e lavoro ad altre più brave ma meno bone di lei. Non le si perdona neanche che abbia trovato successo in Francia e cuccato come marito un signor attore (pure sexy) come Vincent Cassel, così ecco scattare la punizione, anzi l’esecuzione di massa in modo che le si faccia pagare i troppi privilegi. Difatti. Appare sullo schemo in Un été brûlant e incominciano gli sgignazzi, quando apre bocca siamo ai buuh e quasi ai fischi. D’accordo, non è Meryl Streep, ma chi se ne frega. È sempre di una bellezza sovrumana, e molto italiana, anche se non è più una ventenne, e nemmeno una trentenne, e ha avuto due figli. Quel suo nudo inziale di lei sdraiata, con quelle carni offerte allo spettatore e al mondo, è abbacinante, di perfezione classica, e tanto basterebbe. Bellucci poi non è attrice così negata come si vuol far credere, con molta umiltà si è applicata e ha imparato e si è affinata, e ci sono film in cui lascia un segno forte, in primis Irréversible, un capolavoro, uno dei titoli più importanti della scorsa decade. Un été brûlant appartiene a questi. Ma il suo evidente impegno non basta a tacitare i detrattori, non basta nemmeno che a dirigere il film sia un rispettato maestro della tarda Nouvelle Vague come Philippe Garrrel, non basta che accanto a lei ci sia l’attore più cool e intello di Francia, Louis Garrel. Anzi, la presenza della Bellucci scredita agli occhi dei suoi nemici lo stesso film e gli stessi Garrel padre e figlio: all’uscita del press screening ho sentito commenti tipo “il film di Madonna era meglio di questo”, che non è una menzogna, è calunnia in malafede.
Un été brûlant è opera all’altezza della fama del suo autore, un bellissimo, dolente film sulla disperazione dell’amore, sul lutto di non essere più amati e di non essere più capaci di amare. Un film piccolo, poverissimo di mezzi, girato con un pugno di attori e di euro, però in formato grande a tutto schermo, perché Garrel crede al cinema-cinema e alla sua magia. Non date retta a chi ne parla e scrive male, se vi capita (spero che uscirà nelle sale italiane) andatavelo a vedere. È di quei film francesi fatti apparentemente di nulla ma di eleganza estrema, di inarrivabile stile, con dialoghi perfetti, attori che recitano come respirano (sì, anche la Bellucci). Uno di quei film tersi, aerei, alla Garrel appunto, o alla Rohmer, che noi non riusciamo a fare (a ognuno il suo dna). Frédéric, giovane pittore (i quadri che si vedono sono in realtà di Garouste), ama pazzamente la moglie Angéle (Bellucci), attrice, eppure la tradisce, e lei tradisce lui. Quando nella loro casa romana arriva il più caro amico di lui, Paul, con la sua ragazza Elisabeth, la crisi della coppia a poco a poco slitta verso il punto di non ritorno. Adèle se ne andrà, Frédéric impazzirà dal dolore. In questo film esplicitamente godardiano c’è uno strillonaggio come in Fino all’ultimo respiro, c’è un set di francesi in Italia come nel Disprezzo, e come nel Disprezzo c’è una macchina che si schianta. Qualcuno morirà, morirà d’amore, come in un disperato racconto romantico di primo Ottocento.
Un été brûlant è meraviglioso e commovente, una variazione molto ben riuscita e tesa sul tema dell’impossibilità di amarsi pur amandosi. Un film speciale, intimo, anche con pezzi di autobiografia familiare. Dirige papà Philippe, recita il figlio Louis, e c’è un cameo di nonno Maurice Garrel, che non molto tempo dopo aver girato la scena se n’è andato per sempre. Il dialogo tra lui e Louis/Frédéric in ospedale anche per questo non si dimentica. Non si dimenticano la faccia da eroe romantico di Louis Garrel, e il sorriso elusivo di Monica Bellucci.

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