Venezia 2011. Recensione di TERRAFERMA di Crialese (la peggior delusione del Festival)

Terraferma, di Emanuele Crialese.
Interpreti: Filippo Pucillo, Donatella Finocchiaro, Giuseppe Fiorello, Claudio Santamaria. Film della sezione Venezia 68, in concorso per il Leone d’oro.
Un film di nobili intenzioni e politicamente correttissimo. Una famiglia di Lampedusa deve scegliere tra la solidarietà agli uomini venuti dal mare e l’obbedienza a una legge che considera reato aiutare i clandestini. Sullo stesso tema Kaurismaki ha realizzato il bellissimo Le Havre, Crialese invece scivola nel predicatorio e nel didascalico. I messaggi si sprecano, ma il film latita, a parte un paio di scene dalla forza indubbia.
Domanda: perché Aki Kaurismaki sul tema ‘aiutiamo i migranti clandestini ad avere una vita migliore’ ha realizzato il capolavoro Le Havre e invece Emanuele Crialese, raccontandoci una storia molto simile, ci dà invece il film più deludente (finora) di Venezia 68? A dimostrazione che non bastano i nobili intenti e le migliori intenzioni e i contenuti politicamente correttissimi a fare di un film un bel film, ci vuole altro, uno stile, un punto di vista, una sceneggiatura come Dio comanda, anche un solido mestiere. Spiace dirlo, ma Terraferma, primo italiano arrivato in concorso e quindi molto atteso, è di uno schematismo e di una rozzezza che non ci si aspettava da Crialese, un film predicatorio, didascalico, con il messaggio incorporato in ogni inquadratura, in ogni dialogo, in ogni passaggio narrativo. Senza sfumature, con i buoni che sono i sani pescatori della Lampedusa di una volta e con i cattivi, i carabinieri che con pugno di ferro impediscono di dare una mano ai clandestini che si avvicinano alle coste dell’isola. La prima parte, quando ancora di migranti non si parla, è terrificante, con quella Sicilia di stereotipi che sembra ferma a La terra trema e a Divorzio all’italiana, con ragazzi del posto che non conoscono cosa significhi la parola topless, come se non avessero pure loro gli smart phone e sky e quant’altro. Con Donatella Finocchiaro che fa l’ennesima mater mediterranea burbera ma generosa secondo il modello fissato per sempre da Magnani e Loren. Si respira un’aria da cinema anni Cinquanta, se non fosse per quei turisti calati dal nord in cerca di sole a altri brividi, che sono invece degli stronzetti perfettamente contemporanei. Almeno in questo Terraferma ci azzecca, nella descrizione spietata del turismo decrebrato di massa, quello che balla sulla spiagga al suono di Maracaibo, si stordisce di aperitivi e scopate notturne con il nativo.

Crialese sul set

Poi arrivano i barconi con il loro carico di povericristi, e il vecchio pescatore Ernesto li salva dall’annegamento, “perché questa è la legge del mare”. Siccome aiutare un clandestino è reato, i custodi dell’ordine e della legge gliene fanno passare di ogni. E accusandolo pretestuosamente di aver portato in giro turisti senza averne la licenza, gli sequestrano la barca, gli impediscono di lavorare, mandano in crisi l’economia della sua famiglia, composta da lui, dalla nuora Giulietta (Donatella Finocchiaro) e dal nipote adolescente Filippo. Non bastasse, una della clandestine salvate dal nonno, e portata a casa, partorisce una bambina che è il frutto di uno stupro degli sgherri gheddafiani durante la sua detenzion in Libia in attesa di imbarcarsi per l’Italia. Chiaro che la famiglia sta dalla sua parte, e la aiuterà (esattamente come fa il vecchio lustrascarpe con il bambino del Togo in Le Havre) a raggiungere il marito a Torino. Certo, dobbiamo intanto assistere a tremendi dialoghi, tipo Donatella/Giulietta che chiede come si chiami la bambina appena nata e la madre etiope: “La chiamerò con il tuo nome, perché tu l’hai fatta nascere”. Torna Matarazzo torna, che i tuoi tardi epigoni non son degni di te.
Ora, non sono così versato nei cavilli e codicilli della sciagurata legge italiana sull’immigrazione, ma a me pare impossibile e incredibile che la suddetta legge consideri reato salvare dall’annegamento e dalla morte certa un clandestino (gradirei che qualcuno mi levasse il dubbio, grazie). Un conto è rinchiudere i clandestini nei centri di detenzione temporanea o come diavolo si chiamano, un conto è lasciarli scientemente annegare. Non ci credo, non voglio crederci. Eppure questo è il perno di tutta la narrazione di Terraferma, e a me pare piuttosto fragile.
Del film si salvano un paio di sequenza, soprattutto quella dei due ragazzi che si fanno un giro notturno in barca per farsi un bagno e magari altro, e di colpo si vedono circondati da ombre che emergono dall’acqua scura, migranti finiti in mare che si aggrappano disperatamente a quella zattera della Medusa. Immagini potenti, che danno l’idea di quello che Terraferma sarebbe poturo essere, e che purtroppo non è.
Errata corrige dell’11 sett. 2011: l’isola in cui è stato girato il film non è Lampedusa, ma la contigua Linosa.

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