Venezia 2011. Recensione: KILLER JOE, un gran bel noir per il ritorno di Friedkin

Killer Joe, regia di William Friedkin. Con Matthew McConaughey, Emile Hirsch, Juno Temple, Gina Gershon. In concorso nella sezione Venezia 68 per il Leone d’oro.

Un noir senza pietà né legge, lurido e cattivo come ai bei tempi del Braccio violento della legge e di Cruising. Ma anche una black comedy cinica al punto giusto. William Friedkin ritorna, e firma il suo film migliore da parecchio tempo in qua. Protagonisti, un killer-dandy e una turpe famiglia di disgraziati pronti a sbranarsi.
E bravo William Fridkin, che piazza in sottofinale di Festival il suo film più riuscito da un bel po’ di tempo a questa parte, grazie anche una sceneggiatura perfetta scritta da un teatrante che conosce bene il mestiere, Tracy Letts. Così signore, Friedkin, da dire oggi in pubblica conferenza stampa al Lido che il merito della riuscita di Killer Joe è da ascrivere proprio a Letts, e che lui ci ha messo solo la confezione: “Se si dirige un’opera conta sì come lo si fa, ma conta soprattutto la musica di Verdi, di Puccini”. Al di là della dichiarata modestia (o civetteria), la mano del regista di Cruising, Vivere e morire a Los Angeles, L’esorcista si vede eccome. Fin dall’inizio, con quel buio e i pugni che squassano la porta di una casa-roulotte, il cane che abbaia e abbaia, e poi la porta che si apre, e vediamo una sottoveste e un pube femminile. Quella che segue è la storia di una famiglia al grado zero dell’umanità, di disgraziati poveri e anche cattivi, e pure un po’ imbecilli. Quasi peggio delle peggiori famiglie viste quest’anno a Venezia, che sono quelle del film giapponese Himizu. A Chris, giovane spacciatore e allevatore fallito di conigli, la cara mammina ha fottuto la coca che doveva piazzare, sicché si ritrova a dover pagare migliaia di dollari al boss che gliel’ha procurata. E se non paga lo avvolgono di nastro isolante e lo seppelliscono in quache buca. Intanto, per fargli capire che fanno sul serio, lo pestano riducendo il suo bel faccino (che è quello di Emile Hirsch) in poltiglia. Come uscirne? Chris pensa di fare ammazzare mamma da Joe, poliziotto che come secondo lavoro fa il killer su commissione, onde incassare l’assicurazione. Sul piano sono tutti d’accordo: l’ex marito, la figlioletta Dottie (e sorellina) di Chris, la compagna dell’ex marito. Si divideranno equamente l’incasso. L’unico problema è che Joe (Matthew McConaughey, finalmente restituito al buon cinema) quando si presenta tutto agghindato in nero a trattare l’affare esige il pagamento anticipato, e non potendo la disgraziata famiglia dargli un dollaro che è uno, lui si prende come pegno la ragazzina Dottie per farne il suo oggetto sessuale. Ma le cose non andranno come previsto, e ci saranno colpi di scena a ripetizione. Un noiraccio lurido e cattivo, e assai cinico, in cui Friedkin sguazza con evidente godimento mescolando violenza e ironia, distorsioni visionarie e iper-realismo. Come sempre nel suo cinema si abbonda in sangue, tumefazioni, perversioni, voyeurismi, sadismi e masochismi. E naturalmente c’è il fuoco, elemento friedkiniano come pochi (ricordate le fiamme che lambivano Willem Dafoe in Vivere e morire a L.A.?). Killer Joe assume presto i toni anche della ballata macabra e della black comedy: capita di ridere, e molto, nel vedere come quella stupida famiglia criminale implode e si distrugge. Del gran ritorno di Matthew McConaughey, killer-dandy anche un po’ giustiziere, si è detto. Emile Hirsch se la cava molto bene come isterico Chris, Gina Gershon è grandiosamente volgare e camp nella parte della compagna di papà. Le tocca anche la scena più laida e perversa (sennò che Friedkin sarebbe?), quando Killer Joe si mette una coscia di pollo fritto fra le gambe e la costringe a un rapporto orale-alimentare che è tra le cose più grottesche e più autenticamente spinte viste ultimamente al cinema.

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