La notizia circola con parecchia enfasi sulla rete: la critica angloamericana avrebbe accolto con straordinario favore Terraferma di Emanuele Crialese, vincitore del premio speciale della giuria al festival di Venezia, film che ha suscitato invece da noi non poche perplessità, per non dire peggio (ero in sala stampa al Lido quando hanno annunciato il premio e garantisco che i fischi e i buuh hanno fatto tremare le pur solide pareti del Palazzo del Casinò). Molti siti, a cominciare da Cinecittà News, riprendono e rilanciano quanto ha scritto Roderick Conway Morris per l’Herald Tribune e il New York Times (nelle rispettive edizioni online, perché è lì che ho trovato la versione originale del pezzo, non so se sia stato pubblicato anche su carta): “Crialese ha creato un dramma appassionante non solo su una società tradizionale in crisi e sul forte tema dell’immigrazione, ma anche sui singoli che si trovano ad affrontare scelte morali di carattere universale. Come sempre ha la capacità di lavorare in modo abile con un cast professionale ben amalgamato a un cast non professionale”. Giudizio positivo, in modo incontestabile.
Forse sono state anche queste righe di Conway Morris a far dire a Crialese, nell’intervista pubblicata oggi lunedì 12 settembre dal Corriere della sera: “Il fatto che i Paesi anglosassoni abbiano capito il film mi conforta, ho ottenuto quello che volevo: fare un film con un linguaggio universale, che parlasse al mondo e non solo all’Italia. La candidatura agli Oscar? Da quello che ho capito sì, bisogna ancora parlarne, non dipende da me”. Insomma, il regista premio speciale della giuria si toglie qualche sassolino dalla scarpa e risponde a chi in patria non ha apprezzato Terraferma. Si è perfino insinuato che il premio sia stato in qualche modo pilotato. E lui così ribatte: “Gli italiani o sono masochisti o hanno la fissazione del complotto. Come si fa a pensare che un regista come Aronofsky, il presidente della giuria, si faccia corrompere?”.
È l’unica cosa su cui sono d’accordo con Crialese. Il film non mi è piaciuto, l’ho scritto nella mia recensione subito dopo averlo visto a Venezia, e nella mia personale classifica dei titoli in corsa per il Leone d’oro l’ho messo all’ultimo posto, ventitreesimo su 23 film, e non me ne pento. Però quando il regista si indigna per il complottismo di casa nostra ha ragione. Certo, viene da chiedersi come mai abbiano assegnato un riconoscimento di tale importanza, il terzo nel ranking del palmarès veneziano, proprio a Terraferma, dimenticando almeno una decina di film per giudizio unanime migliori. I dietrologi si sono scatenati, sabato sera i rumors, dopo la cerimonia di premiazione, dilagavano nei corridoi del Lido. Detesto ogni complottismo, ogni conspiracy theory. E cerco di spiegarmi razionalmente un premio di tale livello a un film diciamo così minore (garbato eufemismo). Allora: Venezia è un festival nostro, è il festival italiano per eccellenza, penso che ogni giuria, anche la più internazionale, avverta in qualche modo, magari solo inconsciamente, un certo condizionamento ambientale. Poi Terraferma, a ben guardare, può piacere più all’estero che da noi, più agli stranieri che agli italiani, perché ripropone quegli eterni stereotipi cari al pubblico (e alla critica) mondiale di un’Italia neorealista, anni Quaranta-Cinquanta, popolare e un po’ pagana, vitale, generosa. Donatella Finocchiaro in fondo in Terraferma reincarna l’eterno cliché della madre mediterranea che ha fatto la fortuna globale di Anna Magnani e Sofia Loren, i buoni pescatori sembrano uscire dal viscontiano La terra trema (solo i carabinieri, cattivissimi, contraddicono l’immagine degli italiani brava gente). Un’Italia che non c’è più, è anche per questo che il film ha irritato profondamente in patria, ma è anche paradossalmente, e probabilmente, il motivo per cui è piaciuto alla giuria, e al giornalista dell’Herald Tribune.
Andando però a rovistare online si scopre che il consenso “dei paesi anglosassoni” nei confronti del film non è poi così compatto. Diciamo (benevolmente) che le reazione sono mixed.
Favorevole, come si è detto, Roderick Conway Morris dell’Herald Tribune e del New York Times.
Sfavorevole il settimanale americano che è la bibbia di tutti gli addetti ai lavori dell’industria-cinema, Variety. Scrive Jay Weissberg: “Terraferma è il tipo di film che ti fa sentire a posto con te stesso perché non vuoi che la gente muoia, un film ben fatto e non pretenzioso, ma non si vede la necessità che sia a un festival importante. Il pubblico d’essai che si aspetta qualcosa sulla scia del precedente, superbo film di Crialese Nuovo mondo, resterà deluso” (“The kind of pic that … feel good about themselves for not wanting people to die, this is a well-made movie with no pretension but also no crying need to be at a major film festival. Arthouse auds expecting something along the lines of Emanuele Crialese’s previous works, especially the superb “Golden Door,” will be disappointed ).
Sfavorevole un altro giornale che pesa molto in America, The Hollywood Reporter. Scrive Deborah Young: “Il film di Emanuele Crialese è moralmente appassionato ma dà troppo spazio al racconto familiare e a personaggi scontati”. E ancora: “Terraferma è una storia poco significativa ” (“an unremarkable story “). Young sostiene che il film potrebbe funzionare in Italia, perché coglie un problema nazionale come quello dei clandestini e tratta del contrasto tra la legge sull’immigrazione e “la legge del mare”, ma è improbabile che incrementi all’estero il seguito di Crialese (“… is unlikely to increase the director’s offshore following”).
Favorevole Lee Marshall su Screen Daily: “Il film è magari un po’ naïf nella sua semplificazione liberal dei problemi, ma è vincente grazie a una combinazione alla Ken Loach di sincero impegno e di una struttura drammatica elegantemente concisa”.
Sfavorevole (par di capire) Shane Danielsen che su IndieWire, in una atrabiliare, acuminata ma anche molto interessante e divertente cronaca da Venezia, parla malissimo dell’organizzazione della Mostra lamentandosi pure della qualità dei film visti e salvando solo il greco Alpis e il cinese People Mountain, People Sea. Quanto ai film italiani (e dunque si presume anche di Terraferma, benché non lo citi esplicitamente), liquida la pratica con uno sprezzante: “The Italian films were mostly rubbish”, i film italiano erano in gran parte spazzatura.
Favorevole l’inglese Telegraph (la segnalazione è di Silvia Mapelli Sherriff, che ringrazio). Scrive David Gritten: “Uno straziante dramma con sorprendenti tocchi comici”, “Una storia abilmente raccontata, che mescola tenerezza, commedia e tensioni di famiglia sullo sfondo di un problema politico molto serio. Spero riesca ad avere una distribuzione in Gran Bretagna”. (“… a harrowing drama with surprising comic touches… It’s a skilfully told story, mixing tenderness, farce and family tensions against a backdrop of a deadly serious political issue. I hope it gets a British release”).
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2 risposte a TERRAFERMA di Crialese. Ma la stampa anglosassone lo esalta davvero?