Sal, regia di James Franco.
Con Val Lauren, Jim Parrack, James Franco. Presentato alla Mostra di Venezia 2011 nella sezione Orizzonti e nella successiva rassegna a Milano I film di Venezia.
James Franco torna a fare il regista, e lo fa molto bene, ricostruendo le ultime ore dell’attore e icona gay Sal Mineo, ucciso da una coltellata al cuore nel garage di casa a Los Angeles nel febbraio 1976. Un caso di cui ancora si parla negli Stati Uniti, qualcosa che è diventato il loro caso Pasolini. Chi l’ha ucciso davvero e perché? L’omicidio c’entra o no con l’omosessualità di Mineo? Franco si astiene da ogni giudizio, non ci dice la sua su quella fine (ed è il limite maggiore di Sal), mostra solo le ultime ore del suo protagonista con stile e tecnica debitori a certo Gus Van Sant: camera a mano, lunghe sequenze in tempo reale o quasi, conversazioni che sembrano rubate alla vita.
Quel bravo ragazzo di James Franco – basta guardarlo in faccia per capire di che pasta sia fatto – continua nella sua carriera parallela di regista con questo Sal, e naturalmente si impegna in una buona causa (anche se evita intelligentemente i peggiori manierismi politically correct). Si mette a ricostruire con la massima diligenza – i bravi ragazzi si applicano – gli ultimi giorni di vita della piccola star di Hollywood, ed ex star, Sal Mineo, ucciso nel garage di casa a Los Angeles il 12 febbraio 1976. Una coltellata, una sola ma dritta al cuore, di un aggressore rimasto per molto tempo misterioso, che uccise all’istante quell’eterno ragazzo, anni 37 e ancora la faccia da scugnizzo di Little Italy, statura da fantino o poco più, che aveva già alle spalle il meglio della carriera e un presente mediocre d’attore, e alle prese quando morì con il tentativo di rifarsi un’immagine come regista-attore di un certo impegno. Carriera, quella di Mineo, iniziata molto presto e che aveva raggiunto il picco prima con Gioventù bruciata, 1955, dove era Plato, l’amico ragazzino di James Dean, e poi con Exodus, epico film su Israele allo stato nascente, 1960, quando ancora era possibile fare un film sionista (ma ci pensate oggi?, verrebbe giù il mondo per un film così, si riempirebbero le piazze, si boicotterebbe la casa di produzione, si cingerebbero d’assedio i cinema che osassero proiettarlo, si promuoverebbero mozioni di censura alle Nazioni Unite e quant’altro). In entrambi i casi Sal Mineo si prese la nomination all’Oscar come miglior non protagonista, senza però mai vincerlo. Poi, svanito l’effetto ragazzo prodigio e teen-idol, tutto sarebbe andato peggio, non avrebbe mai ripetuto simili exploit, la sua carriera si sarebbe avvitata verso ruoli minori, o il quasi niente.
La sua morte è diventata una specie di caso Pasolini in versione americana e hollywoodiana. Ancora si discute se Lionel Williams, un fattorino black condannato anni dopo per l’assassinio, sia il vero responsabile, e se davvero abbia agito da solo o non sia stato invece spalleggiato da un branco. Sal Mineo conduceva una vita gay, anche se mai aveva fatto esplicitamente coming out, vita di sesso instancabile, amanti ed ex amanti, molti amori occasionali, frequentazione di gay club, propensioni (si dice) per pratiche S/M, il che ha fatto pensare che quello strano omicidio (niente rapina) fosse la vendetta di un ex mollato e geloso, o il frutto di una lite sul prezzo con un marchettaro. Si è ipotizzato e fantasticato anche di droga, di conti in sospeso con degli spacciatori. Ma quello che è emerso dal processo è che Lionel Williams non conosceva la sua vittima, lo aspettava per rapinarlo come già aveva rapinato altri nella stessa zona, era da solo, niente branco con lui, omosessualità e droga dunque non c’entravano niente. Questa è la historia official, cui molti dietrologi, ma non solo loro, stentano a credere, tant’è che ancora oggi si continua a ipotizzare e allucinare su quella morte misteriosa, sottolineando soprattutto la clamorosa contraddizione tra il fatto che Wiliams fosse nero e le testimonianze dei vicini, che subito parlarono di un tizio in fuga dai lunghi capelli biondi e dalla pelle chiara.
E allora: chi ha ucciso Sal Mineo? James Franco non ci prova nemmeno a ricostruire l’intricato caso e a dare una (sua) risposta, non sceglie nemmeno la strada del classico biopic (che pure sarebbe stato di una qualche utilità per farci conoscere un personaggio abbastanza in ombra tra le celebrità), opta invece per una soluzione più impervia e sofisticata ma anche meno compromettente, un film indie – per il basso budget e anche per estetica e scelta narrativa – che racconta l’ultimo giorno e qualcosa dei giorni prima di Sal Mineo. Giustamente mi ha fatto notare il mio amico Marco come questo Sal assomigli a The Last Days, dove Gus Van Sant pedinava con camera a mano un simil Kurt Cobain prima del suicidio con fucile. “Anche qui si ricostruiscono i giorni prima della fine, anche qui lo si fa con lunghe sequenze del protagonista inquadrato di spalle, come in Last Days“, chiosa. Ha ragione, eccome. D’altra parte la vicinanza tra James Franco e Gus Van Sant è acclarata dai fatti, insieme hanno girato Milk (anche quello su un gay ucciso), insieme hanno realizzato una videoinstallazione appena presentata al festival di Toronto, Memories of Idaho, omaggio a River Phoenix. Curioso, questo interesse di James Franco per le giovani star bruciate, in un modo o nell’altro. Tra Mineo e Phoenix le analogie non mancano, innanzitutto la precoce fama e la morte tragica.
La prima sequenza di Sal è quasi un manifesto di cinema ed estetica gay. Non so se James Franco sia omosessuale o meno, se abbia dichiarato di esserlo o no (mi pare di no, se sbaglio correggetemi), fatto sta che quel lungo insistere iniziale della cinepresa sui muscoli del protagonista durante una estenuante seduta in palestra inscrive da subito il film nella cultura (o subcultura) LGBT. Val Lauren, l’attore che è Sal Mineo, non è somigliantissimo all’originale, ha una faccia più mediorientale che italico-mediterranea, ha un corpo più massiccio, e tutta quella sua massa muscolare sposta la fisicità del personaggio più verso modelli dei tempi nostri, ed è uno dei limiti del film, che non riesce a restituire né attraverso i costumi né molto altro gusti e atmosfere di quella decade così speciale, anche visivamente. Segue lunga conversazione di Sal Mineo con un produttore, si parla di un progetto che dovrebbe ridare smalto e una svolta alla sua carriera così in ribasso, un film a tematica omosessuale che l’attore stavolta dovrebbe dirigere. Sal insiste, vuole dare degli omosessuali un’immagine positiva o normalizzata, non è un militante ma intercetta l’aria del tempo, che è quella di un movimento gay al suo apice negli Stati Uniti e in Europa, della questione gay come questione politica, e dà il suo contributo alla causa come può, da lavoratore dello spettacolo (Mineo aveva già prodotto, diretto e interpretato nel 1969 a teatro una discussa messinscena di Fortune and men’s eyes, truce storia di tre ragazzi chiusi in cella con stupro di uno su un altro, e lui era lo stupratore, mentre un giovanissimo Don Johnson era la vittima. Fu tratto dal play anche un film, senza Mineo, uscito in Italia con l’ostico titolo di In disgrazia alla fortuna e agli occhi degli uomini, che ho anche visto a suo tempo e di cui non ricordo assolutamente niente).
Il clima del liberazionismo gay spira in tutto il film, fornisce il quadro in cui si inscrivono i comportamenti molto sciolti di Mineo e amici in fatto di pratiche sessuali e affermazione di sè. Ma il nocciolo del film sta nella ricostruzione, immagino accurata, dell’ultimo giorno di vita di Sal. È senza soldi (ha un mucchio di bollette non pagate in casa, non paga l’infermiera che gli fa un’iniezione non sappiamo di cosa, forse ormoni, forse vitamine, forse altro), la casa è un porcile, ma quando parla al telefono o con i vicini è tutto un entusiasmo molto americano, tutto un trillare aggettivi iperbolici (amazing, gorgeous, fabolous, crazy ecc. ). Va con un amico-amante in palestra, racconta le sue avventure, rievoca le sue notti nei gay club. Lo vediamo al telefono parlare di PS, lo spettacolo teatrale che ha già interpretato a San Francisco e che di lì a qualche settimana porterà a Los Angeles. Anche stavolta i risvolti gay non mancano, trattando il play di un ladro che la notte di Capodanno si introduce in un appartamento e viene scoperto e intrappolato dal padrone di casa. Tra i due si stabilirà una grottesca relazione carnefice-vittima con abbondanti riferimenti sessuali. Di lì a poco assistiamo alle prove dello spettacolo, il partner di Sal è Keir Dullea, l’attore dall’immobile faccia pietrificata lanciato a metà anni Sessanta dal film indie David e Lisa e diventato famoso come protagonista di 2001, Odissea nello spazio, e poi anche lui inabissatosi nel nulla. “Non riesce a ricordarsi quattro battute, figurarsi un copione”, dice di lui malignamente Sal Mineo al telefono con qualcuno, e difatti le prove che vediamo sono una pena, Dullea sbaglia in continuazione, ogni scena deve essere ripetuta infinite volte, fino all’esasperazione di tutto il cast (e di noi spettatori). Segue il ritorno a casa, l’agguato in garage (la scena è volutamente mossa e confusa), i vicini che accorrono, l’annuncio a un qualche notiziario tv della morte della ex star. Viene mostrato alla fine anche un video in cui il vero Mineo parla della morte di Plato, l’amico di James Dean in Gioventù bruciata, e di come quella scena fosse stata girata infinite volte, e ogni volta Dean fosse sempre più coinvolto e commosso.
È nella lunga squenza delle prove a teatro che si vede al meglio la scelta stilistica e linguistica di James Franco. Tutto è girato con la camera a mano che sta addosso ai personaggi, quasi tutto è in tempo reale, dunque anche i dettagli più insignificanti non ci vengono risparmiati, il che conferisce un senso di iperrealtà e verità, ma allunga inesorabilmente i tempi e abbassa il ritmo del racconto. Gran lavoro di sceneggiatura anche, perché tutte le informazioni su chi sia Sal Mineo e cosa stia facendo devono pasare attraverso i dialoghi con i pochi personaggi che gli ruotano intorno, o attraverso le telefonate. Franco riesce anche in questo difficile compito, ci dice molto del suo personaggio senza che ce ne accorgiamo, con le informazioni molto ben annegate nella apparente quotidianità e banalità dei dialoghi, anche se qualche zona d’ombra rimane inesplicata e inesplorata (un approccio così fenomenologico al personaggio, di pura registrazione della sua quotidianità, costringe inevitabilmente a essere piuttosto ellittici). Quando Sal telefona a una certa Jill ad esempio non capiamo bene chi sia, immaginiamo si tratti di una vecchia amica, in realtà è la ex moglie (anche questo me lo spiega l’informatissimo Marco). Però il bravo ragazzo James Franco ha prodotto davvero un bel film, poco mainstream e parecchio indipendente, di scuola Gus Van Sant. Che però è anche un limite. Franco dovrebbe andare oltre la lezione del suo ingombrante maestro, cercarsi una strada più personale, lasciar perdere la prossima volta il martirologio gay che fa molto Milk. L’altro limite di Sal sta, come già detto, nella dilatazione dei tempi, con conseguente eccessiva lentezza. Ricostruire le ultime ore di vita di Sal Mineo con la massima adesione e fedeltà, come in presa diretta, è scelta lodevole, ma rischia di spegnere (causa noia) anche l’interesse di chi guarda il film con le migliori intenzioni cinefile. Quello che però impedisce a Sal di essere più di un buon film e di
diventare memorabile è la scelta di regista e sceneggiatore di scansare ogni interpretazione della morte dell’attore, di non inoltrarsi nel percorso accidentato ma interessante di ricostruire e vagliare ipotesi, punti di vista, di non dirci insomma la loro su cosa sia successo e come in quel garage. Limitarsi a raccontare soltanto quello che precede quel momento vuol dire depotenziare irrimediabilmente la vicenda e la storia di Mineo.
Cameo alla Hitchcock di James Franco, che è il regista dello spettacolo teatrale con Sal e Keir Dullea ma, sublime ritrosia o civetteria, compare solo di spalle (un grazie a Giangi, che se n’è accorto).
Una risposta a Recensione. In SAL James Franco racconta gli ultimi giorni di Sal Mineo, attore e icona gay