La Monaca di Monza – Una storia lombarda, Rete 4, ore 2,10.
Eriprando Visconti, nipote di Luchino, aveva quel problema di portarsi addosso un nome così ingombrante. I paragoni con l’inarrivabile zio, per quanto velati e allusi, fioccarono fin dal suo esordio come regista in Una storia milanese, crudele e molto riuscito ritratto di una Milano borghese primi anni Sessanta (si parlava di aborto, e a quei tempi ci voleva del coraggio). Eriprando era bravo di suo e pur in una carriera piena di oscillazioni e sbandamenti azzeccò parecchi film interessanti. Questo, del 1969, lo è. Forse la migliore versione mai vista tra cinema e tv della infinite volte raccontata storia di Virginia de Leyva, sì, quella manzoniana, la sventurata rampolla che nella Milano spagnola del Seicento viene rinchiusa in convento suo malgrado, e si vendicherà di quel torto diventando l’amante di un losco figuro e abbandonandosi a una vita di eccessi, di sesso e sangue. Fino al processo e all’atroce condanna. Eriprando Visconti alza il tasso di erotismo e inventa il filone del sesso e delle depravazioni dietro le mura di un convento che produrrà negli anni a venire una impressionante quantità di altri film. Ma ha dalla sua un occhio sicuro, una cultura solida che gli consentono di non sbagliare un dettaglio. Riprende meravigliosamente una Lombardia di cieli e di acque (e mi ricordo la recensione sul Giorno di Pietro Bianchi che proprio questo aspetto sottolineava), prende dall’America un’attrice, Anne Heywood, con il dono naturale dell’ambiguità, sceglie come seduttore vizioso Antonio Sabàto, attore di una fisicità italiana cupa e minacciosa che era una star dei B-movie e che qui è al suo massimo. Strepitoso anche il resto del cast, Luigi Pistilli, Hardy Krueger, Caterina Boratto, Carla Gravina, Tino Carraro, Maria Michi.