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La nuova Milano che sale e l’imprevedibile omaggio al sacro
O lo ami o lo odi. Oggi a Milano si parla e sparla parecchio del grattacielone nuovo nuovo che si sta completando in zona Garibaldi, là dove prima c’era l’erba e soprattutto erbacce, e una landa desolata e un lunapark da stringere il cuore dalla tristezza. Non capisco come si possa rimpiangere quel prima, eppure già il lamentio e la nostalgia prendono piede e si ingrossano e stanno diventando un’onda forte di opinioni contrarie alla Milano che sale. Qualche motivo per lagnarsi c’è, mica dico di no, soprattutto dalla parte Isola, oltre la stazione, dove tutto quel vetro e quegli ardimenti architettonici, quelle gru che disegnano il cielo e l’aria, tutta quella città verticale in costruzione (non c’è solo il grattacielo-record difatti), rischiano di distruggere un ecosistema abitativo che ha i suoi delicati equilibri e meriterebbe qualche attenzione in più e qualche ruspa in meno. Della faccenda (osterie vecchie sloggiate dai cantieri, voragini che si aprono di colpo intorno a ringhiere ormai secolari, nubi di polvere che avvolgono baretti popolari-pop) parla e scrive Francesco Bianconi, il signor Baustelle, in una delle pagine conclusive del suo bel romanzo milanese Il regno animale, Mondadori (la scorsa settimana, a chiusura di Officina Italia alla Palazzina Liberty, quel brano Bianconi l’ha riproposto in un reading con tanto di musica, aggiungendovi una poesia, bella davvero, sempre sul tema ‘salviamo l’Isola’, ed è stato sommerso da applausi). Però io sono tra i favorevoli a questi palazzoni, per niente brutti, che stanno ridisegnando il cielo della città, mi piace che finalmente si operi sull’immagine urbana con dei segni forti, è una promessa di cambiamento che ci voleva da queste parti e mancava da troppo tempo. Non sono un fanatico dei modernismi, ma lo sono ancora meno della conservazione immobile. Contro l’intero cantiere di zona Garibaldi-Isola s’è sviluppato anche un pensiero di impronta neoreligiosa secondo il quale nulla in città dovrebbe elevarsi sopra la Madonnina del Duomo, il cui primato in altitudine esprirebbe simbolicamente anche il primato del divino e del sacro sull’umano. Oltrepassare la Madonnina sarebbe dunque blasfemia, oltraggio, sfida al cielo, hybris, violazione dell’icona stessa della città.
Le critiche al palazzo dei record nascono anche da qui, dai suoi 230 metri che doppiano quelli del Duomo e stabiliscono il nuovo record (anche italiano, non solo milanese). Eppure il grattacielo, che sarà la sede di Unicredit ed è disegnato dall’archistar Cesar Pelli, è bello, semplicemente. Basta guardarselo da vicino e da lontano senza pregiudizi, adesso che è quasi finito, e finalmente con l’enorme antenna montata che lo completa e lo fa schizzare vertiginosamente in alto, antenna chiamata Spire posata solo il 15 ottobre scorso da un elicottero, in una spettacolare sequenza da action-movie che ha tenuto a naso in su parecchi milanesi. L’altro giorno, passando dalle parti del grattacielo di Pelli, sono rimasto folgorato dalla somiglianza forte e sorprendente (non mi pare che nessuno lo abbia mai fatto notare), tra lo Spire, l’antenna montata, e le guglie del Duomo, e in particolare la guglia più alta, quella che regge la Madonnina. Somiglianza che non credo sia casuale. Dev’esserci stata l’intenzione di riprendere in quella parte terminale del grattacielo le verticalità del luogo-simbolo della città. Non sarebbe la prima volta che la modernità milanese cita le architetture del passato. La Torre Velasca, capolavoro degli anni Cinquanta, si ispira dichiaratamente alla Torre del Castello Sfozesco. Non lamentiamoci. Questo Palazzo Unicredit non è blasfemo. Nel momento in cui sottrae al Duomo il suo primato di edificio più alto in città, gli rende onore riprendendo e riproducendo visibilmente il tema architettonico delle sue guglie e della sua Madonnina. Omaggio, non oltraggio.
Una risposta a Il nuovo grattacielo-record di Milano, con quella sua guglia che somiglia alla Madonnina