Non ho sonno, Iris, ore 23,15.
Continua su Iris, in questo mese di dicembre, ‘Notte d’Argento’, i lunedì notte con il cinema di Dario Argento. Oggi tocca a Non ho sonno e poi alla replica, alla 1,26, di La Sindrome di Stendhal. Del 2001, Non ho sonno (bel titolo) appartiene alla fase più matura di Argento, quella in cui il nostro maggior autore di thriller-horror, e non solo nostro, percorre ogni possibile strada, rimescola i generi, tenta innovazioni e nello stesso tempo si chiude nell’autocitazionismo e nella pura maniera, nell’argentismo se così si può dire. Una fase che non ha avuto e non ha la stessa fortuna dei suoi film anni Settanta-Ottanta, ma che resta pur sempre l’espressione di un magistero registico dove rintracciare tracce e scorie luminescenti. Gli autori veri vanno visti sempre e a prescindere, perché il loro talento può balenare anche dove e quando non lo aspetti. Dunque, che Non ho sonno sia, senza misurarlo con il bilancino avaro, acrimonioso e spocchioso di certa critica. In questo film Dario Argento sembra voler tornare alla sua iniziale trilogia animale (L’uccello dalle piume di cristallo ecc.) e al capolavoro del suo primo periodo Profondo rosso, dunque a un racconto di inchiesta su una serie di efferati e misteriosi delitti. Lo sprofondamento di certo Argento maturo nella pura visionarietà, se vogliamo nel delirio senza più relazione con una qualsiasi logica-normalità narrativa, qui sembra arrestarsi, e sembra tornare la voglia di una storia più strutturata. C’è un poliziotto che nella Torino primi anni Ottanta promette a un ragazzino che troverà chi gli ha ucciso la madre. Quasi vent’anni dopo alcune prostitute vengono trovate morte, e il detective intuisce che c’è una qualche relazione con il precedente, antico delitto. Torna in città anche il ragazzo, ormai adulto, e insieme daranno la caccia al killer. C’è una filastrocca (scritta da Asia Argento!, e già questo renderebbe cultistico il film), ci sono altri richiami all’infanzia proprio come in Profondo rosso. Ci sono gli spazi notturni e sinistri di certa Torino, uno scenario urbano da sempre congeniale ad Argento, perfetto per i suoi incubi. Il poliziotto è Max Von Sydow, si rivede Gabriele Lavia, e anche questa è una citazione di Profondo rosso come la musica dei Goblin che tornano a collaborare con il regista. C’è una coppia di attori italiani allora molto presente nel nostro cinema autoriale, Stefano Dionisi e Chiara Caselli.
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