Il miracolo di Berna, Retequattro, ore 0,30.
Nessuno o quasi l’ha mai visto da noi, questo film tedesco del 2003. Eppure, nella sua confezione dignitosamente media, un tempo si sarebbe detto televisiva, affronta qualcosa che non è mai stato molto raccontato al cinema, il dopoguerra in Germania della gente comune. Qui non ci sono torbidi misteri di nazisti in fuga grazie a una qualche organizzazione tipo Odessa, qui non si indaga nemmeno sul patologico legame tra le masse e l’uomo che si diceva loro führer, qui non si affrontano i discorsi della colpa e dell’espiazione di un popolo, qui ci si limita – ma non è poco davvero – a mostrare cosa fu la fine del conflitto per l’individuo-massa in un paese da ricostruire. Un uomo, siamo già negli anni Cinquanta, finalmente torna a casa dopo undici anni di prigionia in un campo sovietico in Siberia. Disadattamento, rabbia, impotenza, senso di sconfitta, disorientamento, e l’impatto con un mondo in via di rapida trasformazione. Il figlio grande è diventato comunista, la figlia si è fidanzato con un soldato inglese occupante, la moglie ha una piccola attività (c’è qualcosa in lei della famelica vitalità della fassbinderiana Maria Braun), lui, rimasto cone la mente alla Germania del Reich, non riconosce più quello che gli sta intorno e non si riconosce più. Il figlio piccolo cerca di sottrarsi al clima impossibile in famiglia rifugiandosi nella passione per il calcio. Stanno per svolgersi i mondiali del 1954 in Svizzera, e il suo tifo è tutto per il campione della squadra tedesca, Helmut Rahn. Padre e figlio andranno insieme a Berna ad assistere alla finale, a un incontro entrato nella storia in cui la Germania Ovest batterà l’Ungheria e conquisterà la Coppa del mondo. Il miracolo di Berna, lo chiamarono, e fu una svolta nella coscienza e nell’orgoglio di di una nazione che anche così trovava il coraggio di alzare la testa e guardare in faccia il mondo. Qualcosa di epico, quello che per noi è stata Germania-Italia in Messico, o forse anche di più. Un bel film, da vedere, per capire come un paese può rinascere, anche al prezzo di dimenticare il passato, o almeno di rimandare la resa dei conti con le proprie ombre a tempi meno severi.
(Per trovarmi su Twitter: @LuigiLocatelli)
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