Il cavaliere di Lagardère, Iris, ore 1,12.
Che fine ha fatto il cappa e spada? Se ne parli a un venti-trentenne ti guarderà stranito, non riconoscendo neppure la locuzione, figurarsi il significato. Oggi quel gran cinema, uno dei generi gloriosi e presenti fin dai tempi dei pionieri alla Lumière-Méliès, con i suoi cavalieri spesso mascherati, i suoi marchesi e altri aristocratici sempre in sella e sempre pronti a duellare di lama, le sue dame sempre in attesa di un duellante vincitore, i suoi briganti valorosi e di buon cuore, è scomparso, sepolto. Le spade ritornano solo, riviste secondo gli effetti speciali e smaterializzate e fatte di luce, in quel figlio degenere e privo di ogni fascinazione del cappa e spada che è il fantasy più o meno sci-fizzato. Questo Il cavaliere de Lagardère, anno 1997, made in France ovviamente, è uno degli ultimi del genere, una delle ultime produzioni di un certo sfarzo e budget, e anche uno degli ultimi esemplari ad aver ottenuto un buon successo di pubblico, almeno in patria. Alla base c’è Le Bossu (che è anche il titolo originale del film), un classico della letteratura popolare francese, dalla trama complicatissima e affollata di personaggi maggiori e minori, un cavaliere buono che si traveste da gobbo (ah Hugo! ah Verdi!), uno che di nome fa Gonzague cioè Gonzaga ed è il malvagio assassino e usurpatore, una ragazza che il buono ama e vorrebbe salvare e sul cui patrimonio il cattivo allunga le mani. Insomma, un incanto. Dirige uno che il mestiere lo conosce (lo conosceva) e ama il genere, Philippe de Broca, che negli anni Sessanta aveva stretto un sodalizio con Jean-Paul Belmondo girando con lui una serie di film dall’incontenibile successo commerciale, avventurosi gioiosi e ribaldi e scanzonati che si chiamavano Cartouche, L’uomo di Rio, L’uomo di Hong Kong. Leggero ed elegante, il cinema di de Broca era nello stesso tempo adorato dalle platee popolari e denso di clins-d’oeil letterari. Aveva incominciato accanto ai nomi e ai numi della Nouvelle Vague, ma poi se ne era discostato per costruire il suo cinema che da quella grande avventura avrebbe mutuato sì la freschezza e una certa vena anarcoide, ma non la musoneria e l’accigliato sperimentalismo e pure moralismo. Il cavaliere di Lagardère è un’occasione per ritrovare il De Broca-touch, e un cinema che irrimediabilmente si è perso, abbiamo perso. Bellissimo cast, con Daniel Auteuil, Vincent Perez (che, forse pochi se lo ricordano, è stato uno dei fidanzati storici di Carla Bruni), Fabrice Luchini, Marie Gillain.
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