La città proibita, Rai 4, ore 21,10.
Uno dei wuxiapian firmati dal cinese Zhang Yimou, maestro senza se e senza ma del cinema del tardo Novecento (e degli anni zero). E non si sa quale sia il più bello, vista la sontuosità e la magnificenza della messinscena in tutti. Strana, enigmatica, affascinante figura di cineasta, quella di Zhang Yimou, che dopo gli esordi impegnati (e impegnativi per lo spettatore) di Sorgo Rosso, si è esibito in incredibili giravolte e mutazioni. Un regista di formidabile mestiere ed eclettismo, capace di passare con sovrana maestria e distacco (si tratta di cinismo o di zen?) dal cinema formalista-manierista (Lanterne rosse, film che ha fatto sdilinquire generazioni di redattrici di moda per la sua sfolgorante bellezza) a quello di impegno neo-neorealista (La storia di Qiu Ju) fino ai wuxiapian appunto, prima Hero e poi i meravigliosi La foresta dei pugnali volanti e La città probita. Si dovrà pure un giorno o l’altro decifrare il percorso di Zhang Yimou, che ha girato di tutto e attraversato di tutto (il penultimo suo film che ho visto, A Woman, a Gun and a Noodle Shop, del 2009, è una commedia nera qua e là volutamente grossolana, addirittura remake di un film dei Coen, l’ultimo è il discutibile The Flowers of War visto a Berlino 2012), arrivando perfino a curare l’imponente cerimonia d’apertura delle Olimpiadi di Pechino, tanto che lo si accusa di essere un autore di regime. Personaggio complicato insomma, Zhang Yimou. Ma intanto godiamoci La città proibita, di grandiosità inimmaginabile per il cinema occidentale, sia per gli effetti digitali sia, soprattutto, per l’uso di masse che nessuna produzione hollywoodiana si può più permettere in quella quantità. Siamo nel decimo secolo dopo Cristo, alla corte dei Tang. L’imperatore, l’imperatrice, un principe innamorato, un medico, la sua bellissima figlia, una ex moglie. Gli intrighi e le lotte per il potere, all’interno e all’esterno della famiglia reale, si intrecciano e si potenziano con le storie private. L’imperatore è uno degli attori massimi del cinema cinese, Chow Yun-Fat, la terribile, crudele imperatrice è Gong Li, cioè l’atrice-totem di quel cinema, qui sublimata e iconizzata in una sorta di feroce semidivinità. Film di una bellezza da toglierti il fiato, frecce e lance e giavellotti che oscurano il cielo, una tavolozza di colori stra-saturi (l’oro, il rosso, il rosa, il blu) che abbagliano, e unghie e labbra e occhi ridipinti e feticizzati. Quando l’ho vista al cinema sono rimasto esterrefatto dalla potenza di tanto spettacolo. Non perdetevelo.
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