Samsara, Iris, ore 23,22.
Non ho mai provato alcun interesse per gli esoterismi e ascetismi orientali visti però da questa parte di mondo, e le ubriacatura indiane e filotibetane del frikkettonismo anni Sessanta-Settanta mi hanno sempre lasciato indifferente, anzi no, mi hanno sempre irritato. Se nei salotti vedo e sento parlare estaticamente di ashram, mantra, mandala, karma e altre cosucce consimili perdo il lume della ragione, che ci volete fare. Nulla contro buddismi e induismi, ci mancherebbe, molto contro l’uso decerebrato che ne è stato fatto in Occidente negli ultimi decenni, dove queste illustri, rispettabili e millenarie visioni del mondo son diventate occasioni di un escapismo di massa a basso prezzo, il viatico verso piccoli nirvana personali che assomigliano a buchi neri della mente, alla rinuncia alla ragione e al faticoso esercizio del confronto con il reale. Opinione che scandalizzerà qualcuno, ma tant’è. Questo per dire come mi approccio a un film come Samsara, anno 2002, buon successo internazionale firmato dall’indiano Pam Nalin: con irritazione. In Samsara si mette in scena la tensione mai risolta (mica solo in Oriente, anche in Occidente) tra l’ascetismo e il richiamo della carne, tra la verticalità della tensione al Sublime e al Superiore e quella, opposta, verso quella cosa assai terrena che è il sesso, il desiderio. Il film lo fa attraverso una vicenda così esemplare da avere il sapore della parabola. Sentite un po’. Il giovane monaco buddista Tashi è stato in meditazione per tre anni, tre mesi e tre giorni, e lascio a voi decifrare il significato nascosto di questo triplo 3, io non mi ci metto. Il vecchio maestro Apo lo viene a prendere, seguiranno naturalmente confronti e confessioni sull’illuminazione più o meno raggiunta ecc. Solo che il giovane incontra Pema, così bella da risvegliare i suoi sensi. Addio meditazioni e ascetismi, il nostro si accontenta del livello terreno e si mette con lei, la sposa, mette al mondo un figlio di nome Karma (però, esagerati). Il tutto tra paesaggi himalayani maestosi la cui visione dovrebbe già innalzarci verso vette di purezza e trasparenza della mente e del cuore. Indigesto, almeno per me. Non so voi.
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