I dolci inganni, Rai 3, ore 1,55.
Gran film di Alberto Lattuada del 1960, mitologico per almeno un paio di motivi. Il primo è che lanciò molto in alto la stella della sua protagonista Catherine Spaak, allora solo quindicenne, anche se aveva già alle spalle una piccola carriera di attrice. Il secondo è che è uno dei titoli classici del martirologio del cinema italiano colpito dalla censura, come Ultimo tango a Parigi. Raccontava di una diciassettenne innamorata di un uomo più grande di lei di vent’anni, e già questo disturbava, e rappresentava altre passioni non così ortodosse, come l’innamoramento di un’aristocratica un filo viziosa (Milly, signori, e tanto basterebbe a fare di I dolci inganni un culto anche in mancanza delle molte altre buone ragioni) per un ragazzo. Anche se poi la più grande storia d’amore di questo film resta quella della macchina da presa con il corpo della Spaak (vedere l’inizio per credere). I dolci inganni uscì e fu ritirato per essere riammesso nei cinema solo parecchi mesi dopo, con un taglio di undici minuti. Ma al di là dell’aura di scandalo di cui fu subito circondato, il film è notevole, e lo resta ancora oggi, per come Lattuada riesce a raccontare la sua protagonista, sospesa tra innocenza (mai ingenua però) e sensi. Con quel suo occhio implacabile, quello stile distanziante che ne fa il maestro del melodramma alto all’italiana, il regista forse più simile tra i nostri a Douglas Sirk. Bianco e nero, naturalmente, come si conveniva ai film di certe ambizioni autoriali di allora. Fu con I dolci inganni, e con la performance di Catherine Spaak, che nacque a Cinecittà il lolitismo all’italiana e il carattere della ninfetta, che troveranno nell’esordiente Stefania Sandrelli un’altra incarnazione.
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