La morte e la fanciulla, Rai 4, ore 22,39.
Non è tra i maggiori esiti di Roman Polanski, questo film del 1995, ma è ricco di molti dei suoi temi prediletti: l’angoscia incombente, la presenza quasi fisica del male, la labilità dei confini tra normalità e abominio. Siamo in un imprecisato paese sudamericano assai simile al Cile e all’Argentina. In un passato non troppo remoto c’è stato un regime che ha perseguitato i dissidenti. Una signora pensa di ritrovare in un medico l’uomo che anni prima l’aveva torturata nel carcere dov’era detenuta per motivi politici. Riesce a incastrarlo in un luogo lontano, soli lei e lui, per consumare la vendetta. Un crescendo di inganni e trappole, un rapporto che a tratti sfiora la collusione vittima-carnefice, un po’ sindrome di Stoccolma e molto Portiere di notte della Cavani. Tratto da una pièce di Ariel Dorfman che Polanski sa mantenere freddamente al di qua del melodramma. Lei è Sigourney Weaver, lui Ben Kingsley (parecchio a disagio in un ruolo di cui non sa restituiìre l’ambiguità). Stranamente, quando Polanski gira da un testo teatrale non riesce a dare il meglio, forse perché troppo costretto narrativamente. Gli è capitato anche con l’ultimo Carnage, dal play di Yasmina Reza.
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