Festival di Cannes 2012. Recensione: JAGTEN – THE HUNT, una falsa accusa di pedofilia scatena la caccia alle streghe in un villaggio danese

Caccia alle streghe nella civilissima Danimarca. Una bambina dice di essere stata molestata e, anche se non ci sono prove, contro il rispettabile Lucas si scatena la violenza collettiva. Un film che ti prende alla gola e mostra quasi clinicamente la morbosa ricerca di un capro espiatorio. Lucas è innocente, ma dovrà subire l’ostracismo. Un film che fino a metà è grande e importante. Peccato che poi si perda e non riesca a trovare un finale adeguato. Straordinario Mads Mikkelsen, a questo punto serissimo candidato al premio come miglior attore. Voto: 7.

Madd Mikkelsen è Lucas: un candidato al premio come migliore attore.

Jagten (La caccia), regia di Thomas Vinterberg. Con Mads Mikkelesen,
Thomas Bo Larsen, Annika Wedderkopp. In Concorso per la Palma d’oro.
Per almeno un’ora mi sono illuso di trovarmi di fronte al migliore film di Cannes, non il più bello forse, ma il più importante di sicuro, il più necessario. Ero già pronto ad assegnare la mia personale Palma d’oro quando Jagten ha incominciato ad avvitarsi su se stesso, a inabissarsi nell’insensatezza, a sfiorare il giallaccio, a cercare un finale senza trovarlo. Peccato, perché si era a un passo dal risultato grande. Ma resta un film da vedere, perché aggiorna con intelligenza ed enorme sensibilità il tema sempre inquietante della caccia alle streghe, della caccia all’untore, della caccia all’altro da sè, e lo fa affrontando quello che è oggi considerato il massimo peccato possibile, la colpa più ignobile, la macchia, la tara assoluta, la pedofilia insomma. Se già un altro cineasta danese, l’immenso Carl Theodor Dreyer, ci aveva consegnato un capolavoro sulla caccia alle streghe nel profondo Nord seicentesco con Dies Irae, adesso ci riprova con analogo tema il conterraneo Thomas Vinterberg, autore molti anni fa del celebrato Festen e poi finito nel cono d’ombra. La strega oggi, la strega di questo film è il povero Lucas, un brav’uomo separato cui la ex moglie impedisce di vedere il figlio, che ha trovato lavoro nella locale scuola materna e un compatto gruppo di amici protettivi. Ma diventerà di colpo un paria, un reietto, allorchè Klara, una bambina del giardino d’infanzia, dirà che lui l’ha molestata sessualmente. Poche, ambigue parole, che Klara lascia cadere – per vendetta nei confronti di Lucas che l’aveva trascurata – con la direttrice. Subito il sospetto, anche se in mancanza di prove che non siano l’incerto balbettio della bambina, si trasforma in certezza per lo staff della scuola, poi per i genitori, poi per l’intero villaggio. Assistiamo a un esemplare caso di contagio psichico, mostrato e spiegato da Vinterberg quasi clinicamente, nella sua escalation paranoide e ossessiva. Si parte dall’assioma che i bambini non mentono mai, che ogni parola infantile sia il vero, dunque Klara non si è inventata niente, dunque Lucas è colpevole. Punto. L’ostracismo viene decretato immediatamente, sicché il povero mostro non può andare al supermercato, gli ex amici diventano nemici, viene minacciato, gli uccidono il cane. Un quadro di violenza belluina che sgomenta e che ricorda altre parabole sul capro espiatorio come il vecchio Linciaggio di Losey. Tantopiù allarmante in quanto la violenza collettiva non si rivolge stavolta verso un estraneo al gruppo, ma su un proprio membro interno, fino a quel momento amato e rispettato. Vinterberg non è regista di grandi finezze, ha una rozzezza di stile che però in questa narrazione diventa assai efficace, e perfetta per restituirci la rozzezza barbara, nordica, vichinga fatta di boccali di birra, sbronze colossali, piatti pesanti e indigeribili per chiunque non appartenga a quell’etnia,  scatenamenti improvvisi degli istinti. L’innocenza di Lucas sarà riconosciuta, ma le tossine entrate nel frattempo in circolo non se ne andranno via facilmente. Mads Mikkelsen nel ruolo protagonista è bravissimo, in grado di restituire la sofferenza della vittima ma anche l’orgoglio, la ribellione di chi non accetta di essere spazzato via dalla follia. Mikkelsen è attore straordinario da molti anni in qua (vedi Valhalla Rising di Refn) e tra i pochissimi oggi in grado di abbinare finezze interpretative e muscolarità. Insieme al Jean Louis Trintignant di Amour di Haneke, il più serio candidato al momento al premio come miglior attore di questo Cannes.

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