Una Isabelle Huppert che si moltiplica in tre personaggi diversi, però tutte signore francesi di nome Anne. Siamo in una città coreana di mare, e le tre Anne hanno sempre a che fare con gli stessi personaggi, le stesse storie, le stesse situazioni. Gochino strutturalista da vecchia avanguardia, però stranamente realizzato con dialoghi e passaggi narrativi alquanto grossolani e rozzi. Film che potrebbe diventare un guilty pleasure. Voto: 5.
Da-Reun Na-Ra-E-Suh (In Another Country), regia di Hong Sangsoo. Con Isabelle Huppert, Yu Junsang, Jung Yumi. In Concorso per la Palma d’oro.
I giapponesi sfottono i coreani, li considerano un po’ rozzi e grossier. Non sapri dire quanto ci sia di vero in questo che è uno dei tanti pregiudizi etnici, non avendo mai messo piede né in Giappone né tantomeno in Corea. Però dopo aver visto questo film dal titolo originale impronunciabile a noi comuni occidentali mi è venuto da pensare che forse i giapponesi non hanno mica torto. Una commedia di sentimenti per niente leggera anzi abbastanza sul greve, con una Isabelle Huppert che si triplica, ma i personaggi si chiamano sempre Anne e sono sempre signore francesi, e bisogna dire che lei fa di tutto per stare al gioco, forse allo scherzo, con l’impavida, ferrea determinazione che le si conosce. È nella sua stagione cinema asiatico, la Huppert, avendo girato prima di questo anche il filippino Captive con la regia del talentuoso Brillante Mendoza, arrivato al festival di Berlino da gran favorito e uscitone senza uno straccio di premio (e invece è un film importante). Però questo Da-reun ecc. non è granchè, suvvia. Strano film comunque. Perché la struttura narrativa è sofisticata e, come in Resnais, riprende i giochini avanguardistico-strutturalisti anni Sessanta, che fan sempre la loro figura e un passaggio a un festival lo garantiscono. Ma il racconto è alquanto rozzo, tirato via, divertente sì (qua e là si sghignazza), ma insomma irrimediabilmente grossier, ecco. Siamo in una città balneare sud coreana, con un mare grigio e freddo. Anne, arrivata dalla Francia e con un mestiere che deve avere a che fare con il cinema (critica? organizzatrice di rassegne? non ho capito bene, scusate), è ospite di un regista coreano e della moglie di lui incinta. Il coreano ci prova, eccome. Intanto Anne/Huppert deambula intorno alla spiaggia, chiede se c’è un faro e fa la conoscenza di un bagnino, ovviamente aitante – sui giornali anni Cinquanta i bagnini erano sempre aitanti -, simpatico e rozzo, che la corteggia. Figurarsi la critichessa francese, che magari vorrebbe giacere nella tenda (gialla) di lui ma noblesse oblige e neanche se ne parla, un po’ di coquetterie e basta. Si passa al secondo episodio, e stavolta Anne/Huppert è una francese che tradisce il marito con un intellettuale coreano, fa i soliti giri sulla spiaggia, chiede del faro, conosce il solito bagnino che la corteggia, ma pure lei niente. Terzo episodio: Anne/Huppert stavolta è stata mollata dal marito manager per la segretaria coreana, si concede una vacanzuccia al mare con un’amica (coreana) per tirarsi un po’ su, conosce sempre i soliti personaggi, bagnino compreso, e finalmente ci scopa. Si palesa anche un faro giocattolo. Fine del film, o quasi. Insomma, ci siamo capiti, no? Siamo alle stesse storie però riprese e riraccontate attraverso diversi punti di vista, che sono quelle delle tre Anne, che però sono sempre Isabelle Huppert, che insomma sotto sotto son sempre la stessa donna. Quel che resta in mente del film sono i dialoghi, anche divertenti, certo, però più da commediaccia che da commedia, e quegli strani incastri narrativi un po’ per caso un po’ per necessità. A far la figura migliore è il bagnino. Finora, il mio personale guilty pleasure di questo festival.
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