Dopo Amir Naderi che a Tokyo aveva girato il bellissimo Cut, un altro regista della diaspora iraniana, Abbas Kiarostami, va a lavorare da quelle parti. Ne esce un’operina low budget, di pochi personaggi e pochi ambienti, molta eleganza e molti (squisiti) dialoghi. Uno strano triangolo composto da un vecchio professore, una giovane prostituta di alto rango e il di lei fidanzato proletario. Una piccola commedia degli equivoci e degli inganni, ma anche di tenerezze inattese. Con un occhio piuttosto indulgente verso gli anziani signori che vogliono ancora amare le donne. Voto: 6+.
Like Someone in Love, regia di Abbas Kiarostami. Con Radashi Okuno, Rin Takanashi, Ryo Kase. In Concorso per la Palma d’oro.
Non è così brutto come l’hanno dipinto certe critiche malevole questo ultimo, piccolo film di modestissimo budget del maestro già Palma d’oro Abbas Kiarostami. L’ha girato in Giappone, in giapponese, presumo con soldi in gran parte giapponesi, come precedentemente capitato a un altro regista della diaspora iraniana, Amir Naderi, che proprio a Tokyo è andato per filmare il suo formidabile Cut (una meraviglia tra cinefilia e cinema del genere yakuza, uno dei film più belli visti alla scorsa mostra di Venezia nella rassegna Orizzonti). Kiarostami con Like Someone in Love non raggiunge il risultato di Naderi, si accontenta di un’operina di pochi personaggi – tre, un triangolo lui-lei-l’altro con qualche elemento di sorpresa-, di pochi ambienti e moltissime parole. Un film di conversazione con oltretutto i suoni arcani di quella remota lingua che hanno su noi spettatori d’occidente un potere incantatorio, quasi ipnotico. A me quella di Like Someone in Love è parsa una bellissima sceneggiatura, di alta scrittura, altro che critiche supponenti e malmostose. La lunga sequenza con il frontale di Akiko in taxi concentrata ad ascoltare i sette messaggi lasciati dalla nonna sul cellulare è fantastica, nel suo apparentemente divagante e inutile small talk che riesce invece a raccontarci molto della ragazza e della sua vita, illusioni e delusioni comprese. Dunque: Akiko è una ragazza venuta a Tokyo dalla provincia per frequentare l’università, ma non è una studentessa brillante (al test di sociologia confonde Darwin con Durkheim) e forse neanche tanto dotata. La sua occupazione è un’altra, prostituta in un club di un certo livello, con un boss severo ma di buone maniere, clienti di fascia alta, politici e così via. Una notte viene mandata dal capo, lei assai riluttante, da un cliente speciale che si rivela essere un vecchio (ma vecchio davvero) intellettuale scrittore-traduttore, rispettato docente universitario ora in pensione. Passano la notte insieme (però Kiarostami con eleganza ci risparmia i dettagli) e la mattina dopo lui la accompagna all’università, ed è lì che il professore, mentre è in macchina ad aspettare che Akiko faccia il suo giro per un esame e ritorni, viene abbordato dal gelosissimo fidanzato della ragazza che lo scambia per il nonno. Chiaro che il vegliardo sta al gioco, sicchè tra lui e l’altro, meccanico in un garage e cintura nera di karatè, si sviluppa un paradossale dialogo sull’amore, l’amicizia, la vita, le responsabilità. Quando la ragazza rientra in macchina si continua con la recita e i tre fanno un breve giro per la città che fonderà una strana amicizia. Poi le cose precipiteranno, l’equivoco che aveva tenuto uniti i tre svanisce e la verità viene a galla. Purtroppo Kiarostami non trova un finale, o non trova il coraggio di cercarlo, e ci lascia parecchio insoddisfatti con molte domande aperte. Comunque la trasferta giapponese ha fatto bene al regista iraniano. Che il Giappone, l’impero dei segni, con la sua eleganza diffusa a ambienti e persone aiuti parecchio il cinema lo si sapeva, e questo lieve ed elegante rondò lo conferma. Il sordido e il laido, che ci sono inevitabilmente nel rapporto tra il professore e la giovane Akiko, vengono stemperati dall’eleganza della messinscena, dai dialoghi a tratti squisiti. Kiarostami forse fa il tifo per il vecchio professore, forse sta dalla sua parte, ma ovviamente non lo dà troppo a vedere. Grazie a Dio non si fanno discorsi sul diritto al sesso nella terza e quarta età, si mostrano solo le cose, le persone, i desideri senza menarcela con i messaggi. Il suo distinto professore il regista non ce lo dipinge come un turpe signore affamato di carne giovane, piuttosto come un uomo che vuole ancora stare accanto a una donna, perché le donne le ama, le ha amate, continua ad amarle. Però quel sasso che irrompe alla fine distrugge, forse, questa illusione.
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