La maggior delusione (finora) di questo Cannes. Un film che arriva troppo tardi, fuori tempo massimo, a rappresentare On the Road, il libro-manifesto della beat generation. Personaggi e trasgressioni che oggi ci sembrano remoti come i racconti di una vecchia zia. Oltretutto messi in scena dal regista Walter Salles (quello dei Diari della motocicletta, abbonato evidentemente alle storie su strada) con la piattezza di una fiction sui santi di Rai Uno. Voto 4.
On the Road (Sulla strada), regia di Walter Salles. Con Garrett Hedlund, Sam Riley, Tom Sturridge, Kristen Stewart, Viggo Mortensen, Amy Adams. Kirsten Dunst. In Concorso per la Palma d’oro.
Finalmente ho trovato un film del concorso da mettere ultimo nella mia personale classifica, dietro a Reality di Matteo Garrone, almeno salviamo l’onore italiano. Ci si aspettava il peggio da questa tardiva, e oltre ogni tempo possibile, versione cinematografica di On the Road, il romanzo assai autobiografico di Jack Kerouac presunto capolavoro della letteratura novecentesca, e il peggio è stato. Presunto capolavoro, perché oggi di tutto quello scorrazzare di qualche invasato strafatto per le strade d’America e pure del Messico ci importa poco, pochissimo, quasi niente, e la cosa ci appare più datata e remota di Ivanhoe o dei Promessi sposi. Ma scusate, perché dovremmo interessarci a un tizio che tra fine degli anni Quarante e primi anni Cinquanta, ossessionato dalla voglia di scrivere il romanzo della vita, si mette a praticare qua e là per l’America modestissime trasgressioncine sempre comunque tra camere, cucine e tinelli di una qualche mamma o zia o parente di un qualche amico? Solo che, piaccia o meno, quel libro, On the Road, ha segnato un’epoca e inaugurato tutto uno stile di vita e una retorica giovanile fatta di sballi, allargamenti della coscienza, rivoluzioni sessuali che negli anni Sessanta-Settanta sarebbero diventati di massa e globali, e pervadono ancora oggi il sentire contemporaneo dell’Occidente. Un libro piccolo, forse mediocre, che però ha incendiato imprevedibilmente la prateria ed è diventato un fondamento della successiva mass-culture. In On the Road Jack Kerouac, che nel libro si dà il nome fittizio di Sal, ci racconta l’epopea (epopea?) di lui giovane studente alla scoperta del mondo e della vita che, seguendo il magnetico, vitalistico, seduttivo amico Dean (nella realtà era Jack Cassidy), fa un po’ di autostop, conosce qualche donna, si ritrova in qualche club jazz, fa qualche lavoro manuale tipo raccolta del cotone (stando nel frattempo con una ragazza). Ma la sua attività principale in fondo è quella di stare attaccato all’amico Dean, da cui è come ipnotizzato e che è il vero motore narrativo della storia. Dean, giovane com’è, ha già una moglie di sedici anni (Marylou: la interpreta Kristen Twilight Stewart!), però fa l’amore con tutte quelle che incontra, molla Marylou per risposarsi con Camille e farci un paio di figli, e intanto tradisce anche lei con tutte le donne, tradendola perfino con la ex Marylou. Il tutto innaffiato di alcol e delle droghe allora emergenti. A fare da comparsa o poco più è Carlo (che sarebbe poi Allen Ginsberg), deciso a scrivere nel giro di un paio d’anni un poema che sconvolgerà il mondo, e un po’ tagliato fuori dal gioco da maschi degli altri essendo omosessuale e infelice perché non trova il compagno giusto (lo troverà, lo troverà). Andando in giro qua e là si arriva pure a casa di Old Bull Lee (ovvero William Burroughs), che in giardino si tiene una cabina orgonica, sicchè per un attimo ho pensato si trattasse di Wilhelm Reich e non riuscivo a capire (vedi Wilhelm Reich e orgone). Che altro? Beh, Dean è davvero un sex addicted, fa l’amore con tutte, fa l’amore a tre, fa l’amore a quattro, condivide la sua Marylou con l’amico Sal (cioè Jack Kerouac), e la scena di straculto è già quella di loro in macchina nudi con lei in mezzo che masturba tutti e due in contemporanea. Cultissima anche la scena dei tre a letto insieme, e pure quella con Steve Buscemi gay che ingaggia come marchettaro il solito Dean pronto a tutto. Ora, questo andare su e giù per l’America non solo è abbastanza poco interessante, ma viene raccontato da Walter Salles e dal suo sceneggiatore in modo alquanto confuso, sicché dopo una mezz’ora ti perdi tra i vari personaggi e incominci a sbuffare. Solo che si va avanti per due ore e venti minuti, e a un certo punto non se ne può più. Al di là dell’apparente, molto apparente tono trasgressivo, tutto è diligentemente e convenzionalmente girato come una fiction sulla vita dei santi di Rai Uno produzione Lux-Bernabei, solo che qui i santi sono quelli della beatnik generation – Jack Kerouac, Nick Cassidy, William Burroughs, Allen Ginsberg – e dunque si mette in scena qualche peccato in più. Ma l’approccio è lo stesso: piattamente agiografico. Non uno scarto, uno scatto, una sorpresa, un’invenzione narrativa o visiva. Walter Salles procede noiosamente di scena in scena alla canonizzazione di Sam Jack Kerouac e amici, e noi non vediamo l’ora che la liturgia finisca.
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