Festival di Cannes 2012/ Recensione: KILLING THEM SOFTLY. Un crime-movie con Brad Pitt di molte (troppe?) ambizioni

Un killer viene ingaggiato per fare piazza pulita di chi ha osato mettersi contro i boss rapinando una loro bisca. Intanto tv e media rimandano gli slogan di rinascita americana della campagna obamiana anti-Bush. Una crime-story autoriale, a passo lento e di lunghi dialoghi, con improvvise, feroci scene di violenza. Un film che vorrebbe sublimare le regole del cinema di genere, ma ci riesce solo in parte. Però, niente male. Voto: 6 e mezzo.

Killing Them Softly
, regia di Andrew Dominick. Con Brad Pitt, James Gandolfini, Sam Shepard, Ray Liotta, Scoot McNairy, Ben Mendelsohn. In Concorso per la Palma d’oro.
Ci si aspettava molto da questo noir di Andrew Dominik, regista australiano che qualche anno fa aveva realizzato con Brad Pitt protagonista un western anomalo, ieratico, pervaso del senso del peccato e della colpa, quasi bressoniano, L’assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford, film che a Venezia aveva procurato a Brad la Coppa Volpi come miglior attore protagonista (strameritata). Ma stavolta il sodalizio con la star di tutte le star di Hollywood non produce lo stesso risultato. Intendiamoci, Killing Them Softly è una crime story per niente convenzionale nella scrittura e nella messinscena, coraggiosa e abbastanza innovativa, di dichiarate ambizioni alto-autoriali, ma non così riuscita, o riuscita solo a metà. In un buco sprofondato in chissà quale parte marcia della Florida due disgraziati, manovali del crimine senza troppo cervello e con troppo alcol e sostanze alteranti in corpo e nel cervello, vengono ingaggiati da un loschissimo tipo perché facciano un colpo nella locale bisca clandestina. Colpo che riesce senza troppi sforzi. Ma i signori boss proprietari della bisca si incazzano e chiamano Jackie Cogan, killer di professione dal brillante curriculum (Brad Pitt, ovvio) perché stani i responsabili, li faccia fuori e recuperi se possibile i quattrini. Parte la caccia, e a dare una mano a Jack arriva un obeso e un po’ depresso collega – la moglie lo sta mollando e lui passa da una puttana all’altra – che è poi il grandioso James Gandolfini. Non succede molto altro. Ovvio comunque che i colpevoli della rapina verranno fatti fuori. Sono scene di violenza inaudita, anche per gli standard abbastanza belluini del cinema odierno dove non si risparmiano i dettagli disgustosi e raccapriccianti. Qui Dominik fa un passo in là nella glamourizzazione della violenza e del sangue, verso diciamo così una sorta di porno-violenza d’autore, l’assassinio del mandante della rapina è di un virtuosismo da lasciare senza fiato e di una brutalità altrettanto sbalorditiva, con una resa visuale ai limiti dello sperimentalismo. Ma sono scene che scoppiano rare in un film che sceglie un passo diverso, che è lento, riflessivo, meditativo, dove si rinuncia ai manierismi adrenalinici degli action e spy e crime dominanti sul mercato. Le inquadrature, spesso a camera fissa, sono composte con sapienza, siamo all’opposto anche del cinema neo-neorealista che feticizza l’uso della steadycam e dell’inquadratura shaky. Si vede che Dominik si rifà al cinema classico, conosce e ama molto grande cinema. Killing Them Softly (è il motto di Jackie Cogan/Pitt, killer che aborre la violenza sporca e preferisce colpire la sua vittima da lontano, in un modo secondo lui pulito e perfino morale) è poi parlato, parlatissimo, una delle rare crime story in cui i dialoghi, l’insieme di parole, prevale sull’azione, come capita in certi tortuosi Tarantino, come in quel gran noir, poco visto in Italia, che è In Bruges con Colin Farrell. Purtroppo, immagino anche per volontà dell’engagé Brad Pitt, Killing Them Softly infarcisce il racconto con gli slogan della campagna elettorale (quella contro Bush) di Obama, messaggi sull’America come grande paese compassionevole e solidale, basato sui valori della libertà e della giustizia e pronto a riappropriarsi del futuro. Non si capisce bene quale ne sia il senso. Ritraendo in contrappunto un’America miserevole e desolata forse si vuol mostrare la necessità del progetto obamiano, o forse è il contrario, forse si vuole mostrare quanto la retorica politica sia lontana dal reale. In ogni caso, questa è la parte più superflua e meno convincente di un film che già di suo non riesce a riscrivere e sublimare del tutto il paradigma del cinema di genere come ambiziosamente vorrebbe. Brad Pitt in conferenza stampa ha molto calcato la mano sul suo impegno politico e sulla necessità nell’imminente campagna elettorale di difendere i valori di giustizia sociale e il welfare. Però le prediche e i discorsi anche onesti e intelligenti non c’entrano mai molto con il cinema e rischiano di appesantirlo, e questo film ne è l’ennesima prova. Comunque Killing Them Softly resta un buonissimo risultato, e meriterebbe di essere rivisto e riconsiderato fuori dall’arena festivaliera di Cannes, la più stressante di tutte, per chi i film li presenta e per chi li vede.

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