Festival di Cannes 2012/ POST TENEBRAS LUX non è un film ma un delirio, puro nichilismo, la morte del cinema

Si pensava di aver raggiunto a queso Cannes il massimo del delirio con Holy Motors di Carax, invece non avevamo ancora visto il messicano Post Tenebras Lux. Un film-non film, una storia che forse c’è ma subito sparisce e forse si metamorfizza in altre storie, con altri personaggi. Il diavolo che compare un paio di volte, con tanto di corna, barba caprina e piede biforcuto che neanche il Malleus Maleficarum. Forse il nichilista Reygadas vuole teorizzare e praticare la morte del cinema, Ma se è così, ce lo dicesse prima, che lo si scansa e non si perde tempo. Voto: 4.
Post Tenebras Lux, regia di Carlos Reygadas. Con Adolfo Jimenz Castro, Nathalia Acevedo, Willebaldo Torres, Rut Reygadas, Eleazar Reygadas. In concorso per la Palma d’oro.
Della serie: si vedono ai festival cose che voi umani non potete immaginare. L’altra sera con Holy Motors pensavo si fosse raggiunto il tetto consentito del delirio a questo Cannes, invece no, mi è toccato vedere ieri questo Post Tenebras Lux, del già riverito piccolo maestro messicano Carlos Reygadas, uno che da anni conta su appassionati devoti sparsi soprattutto in Europa. Già bisogna diffidare dei titoli in latino, che rivelano nei loro autori una tensione quasi mai realizzata al sublime (qualche eccezione c’è, Dies Irae di Dreyer o Sebastiane di Derek Jarman per dire) e le peggiori torture alto-autoriali per lo spettatore. Così è stavolta. Accolto da buuh ma anche da appassionati applausi, è così fuori di testa e inguardabile che di sicuro si trasformerà in una passione dei cinefili più estremi, quelli che più li maltratti e più delibano estatici i piaceri e le glorie del martirio. C’è anche un sado-masochismo da cinemaniaci, con i suoi master inflessibili dotati di ogni strumento di tortura (i registi più inaccessibili e rigorosi e punitivi) e gli schiavi felici, pronti a godere nel momento della massima sofferenza, anche della massima umiliazione. Appartenessi alla categoria, sarei entrato in una dimensione quasi mistica di godimento ieri davanti a Post Tenebras Lux, ma non appartengo. Perciò mi sono annoiato e moderatamente incazzato. Moderatamente, perché il talento a Reygadas bisogna riconoscerlo, e qua e là ci fa balenare il film che questo PTL avrebbe potuto essere e non è, e perché il narciso messicano riesce a costruire sequenze (qualche sequenza) debitamente disturbante. Ma l’egolatria l’ha fregato, inducendolo a pensare che tutto fosse concesso alla sua Arte, perfino (non) costruire un film in cui ogni logica e linea narrativa viene distrutta e che è solo un accumulo di sequenze, singolarmente prese magari interessanti, ma che non si incastrano in nessun racconto, e non è nemmeno il solito procedere decostruzionista, no, qui siamo al nichilismo cinematografico, allo zero pervicacemente cercato e voluto, purtroppo anche imposto agli altri. Già, che c’entriamo noi con le ansie del signor Reygadas di porsi a Nuovo Autore Assoluto, a Esploratore delle Nuovo Frontiere Filmiche? Che poi qualcosa gli si potrebbe anche perdonare, ma la rinuncia a raccontare no, questo non si può. Naturalmente, per fare più avanguardia e sperimentalismo, si usa anche in questo film la solita steadycam ballonzolante con inquadrature come sfuocate e con effetto alonato (non chiedetemi ulteriori ragguagli tecnici, riferisco solo ciò che ho visto). Se proprio proprio ci sforziamo di trovare una linea narrativa, questa potrebbe essere la storia di una coppia della borghesia messicana che si è trasferita, più che in campagna, in mezzo a un bosco con tanto di laghetti e torrenti, in una di quelle villotte archi-avanguardistiche figlie della casa sulla cascata di Frank Lloyd Wright. I due sono abbastanza in crisi, anche perché hanno due figli, Rut e il più grandicello Eleazar (nomi biblici, mi pare) petulanti e invadenti, soprattutto la bimba, che è sempre lì a urlare e bambocciare e vorresti che le dessero qualche sberla invece niente, che non si usa più neanche in Messico. Altri personaggi collaterali, che forse sono connessi alla coppia forse no (non si capisce bene), sono un fattore, i partecipanti a un gruppo di terapia anti-addiction (ogni tipo di addiction), dei ragazzi che giocano a rugby (in Inghilterra, suppongo), i frequentatori di un hammam dove si praticano scambi di coppia e orge. Più Satana luminescente (di colore rosso) che entra di notte nella villa. Qualcosa pare che ogni tanto succeda, i figli in alcune scene sono un po’ più grandi, il marito sta male, la moglie forse (forse) partecipa all’orgia nell’hammam. Quando un personaggio, disperato per la solitudine in cui si ritrova, si strappa letteralmente dal collo la testa – sì, la afferra e tira fino a quando si decolla da solo – capisci che è ora di tirare giù la clèr e ritirare definitivamente la fiducia. Inutile chiedersi dove voglia andare a parare il film, perché è un non-film. Però, forse perché se scavo e scavo scopro che anche nel più profondo di me c’è un cinefilo che ama farsi maltrattare, io qualche pezzo di Post Tenebras Lux lo salverei. Chissà a rivederlo l’effetto che potrebbe fare.

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