Uno strano film. Parte come legal-thriller, poi diventa un fiammeggiante mélo alla Tennessee Williams con slittamenti nel camp. Florida, anni Sessanta: due fratelli giornalisti cercano di far luce su un caso giudiziario. Con una Nicole Kidman come non l’avete mai vista in versione Barbie di provincia cotonata e volgare, che si produce in un paio di scene calde davvero. Voto: 7 –
The Paperboy, regia di Lee Daniels. Con Nicole Kidman, Matthew McConaughey, Zac Efron, John Cusack.
(recensione scritta dopo la presentazione del film al festival di Cannes)
Fine anni Sessanta, (s)profondo Sud, Florida. Afa, climi torridi, acque stagnanti, alligatori, cieli gonfi. Gente che di mestiere fa il cacciatore di alligatori, poi li appende e li scuoia tirandone fuori (con le mani) le interiora. Poliziotti grassi, tronfi e ottusi che odiano i neri, d’altra parte i neri li odiano in tanti da quelle parti, e le nere tutte a fare le donne di servizio a casa dei bianchi: come in The Help, ma questo film è infinitamente meglio, non preoccupatevi. (E il regista Lee Daniels, quello di Precious che qui fa il bis, un omone di colore, in conf. stampa ha detto che pure i suoi facevano i servi e le serve nelle case dei bianchi). Dunque, uno di quei poliziotti grassi e tronfi viene trovato accoppato, gli erigono pure un monumento in bronzo anche se era una notoria carogna odiata da tutti, e sbattono in galera un tizio, anzi lo condannano a morte. Però c’è anche della gente bianca, perbene e liberal che pensa che su quel caso non si sia mai andati veramente a fondo, e sono i due figli del proprietario di un giornale locale, anche loro scriventi (Ward, il maggiore, è Matthew McConaughey, l’altro, di nome Jack, un bravo Zac Efron). Decidono di darsi da fare ed entrano così in contatto con Charlotte, biondona vistosa sul genere Barbie, cotonatura da provincia americana Sixties, abiti strizzati a mostrare tette e altro, la quale è in contatto epistolare con il presunto assassino, detenuto nel braccio della morte destinazione sedia elettrica. Una fidanzata per corrispondenza, che è poi una Nicole Kidman volgare e sexy incredibilmente brava e convincenta in una parte che sulla carta non sembrerebbe fatta per lei, anzi. Vanno tutti insieme a parlare con il detenuto, e qui la prima delle due scene cha scateneranno paginate e paginate sui giornali, una Charlotte/Kidman che, non potendosi avvicinare al fidanzato di penna né tantomeno toccarlo, su ordine di lui apre le gambe, strappa i collant e si masturba alla presenza degli esterrefatti fratellini giornalisti (cui intanto si è unito un altro scrivano-giornalista nero, naturalmente molto poco ben visto in paese). Ma quello che sembrava un legal-thriller rétro di colpo si accende, si metamorfizza, slitta verso altri generi e un altro cinema. Già il regista Lee Nichols aveva disseminato di segni camp la sua messinscena: il personaggio di Nicole/Camille in primis, marilyneggiante anzi tendenza jayne-mansfield, e già questo. Ma anche la figura della colf di colore, spiccia, linguacciata, tagliente. Camp, con quello humor cinico-devastante, è il tono che domina il film da subito nei dialoghi, per scelta evidente del regista. Confermato dall’altra scena di cui molto si parlerà, con Charlotte/Kidman che non esita a fare pipì addosso a Jack per lenirgli la pelle ustionata da un incontro con un branco di meduse. Poi, dal momento in cui il recluso viene rimesso in libertà, il film si fa via via sempre più flamboyant. Il fratellino minore Jack, ormai irrimediabilmente innamorato di Charlotte, se la vede portare via dall’ex detenuto in una stamberga in mezzo alle paludi. Non bastasse, il fratello maggiore viene trovato ferito in una mezza orgia gay (“gli piacciono i neri” chiosa l’amico black, che ha lasciato Londra per venire a fare il giornalista in questo buco di posto, e che probabilmente è il suo amante). Come in Tennessee Williams, il drammaturgo che ha fissato il paradigma di ogni melodramma sudista a sfondo sessuale, le passioni affiorano, prevalgono, travolgono i personaggi, li spingono verso derive imprevedibili, cambiano i destini. Qui The Paperboy mostra la sua natura di ibrido, molto interessante, che si muove tra molti generi per poi spingerli tutti alla fusione nel mélo. Operazione di cui non ricordo esempi analoghi in tempi recenti e che fa di questo film qualcosa di anomalo e abbastanza unico. Torsione finale che non ti aspetti e che ti prende alla gola. Matthew McConaughey e Zac Efron fanno bravamente la loro parte.
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