Carne tremula, Iris, ore 21,05.
Il film del 1997 che apre la stagione più matura di Pedro Almodóvar, quella in cui il regista della Mancha smussa il suo tasso di trasgressione e di provocazione e incomincia a delineare affreschi multi- esistenziali con mano sicura e la sapienza del maestro. Incominciano anche le trame complicate, le storie intrecciate che è difficile riassumere (ma che poi, quando le vedi, risultano chiare e lineari, perché Almodóvar le sceneggiature le sa maneggiare e scrivere). Memorabile la scena iniziale, con una Penelope Cruz giovanissima e non ancora superstar, e assai meno glamorous di adesso, che viene portata in ambulanza all’ospedale a partorire, in una notturna, livida e lugubre Madrid franchista. Lei ci lascia la pelle, ma il figlio Victor sopravvive. Dopo un’adolescenza travagliata, conoscerà la ricca e viziata Elena (che è poi Francesca Neri, che a quel tempo aveva una carriera in terra spagnola), in un incontro che gli segnerà la vita. Seguono, come vogliono le regole del melodramma, ostacoli e sciagure di vario tipo. Victor finisce in carcere, accusato ingiustamente di aver provocato il ferimento, con successiva paralisi dalla vita in giù, del rude e macho poliziotto David, il quale sposerà poi Elena. Si aggiungono, nel rondò degli amori che si intersecano e delle vite che si incontrano, si scontrano, si allontanano e si ritrovano, anche un altro poliziotto, Sancho, e sua moglie. Finale flamboyant. Almodovar avvince e incanta, destreggiandosi in un questa materia spessa e anche greve con grazia (dote che agli inizi di carriera non aveva mostrato di possedere). Javier Bardem è il supermacho David diventato paraplegico e impotente, e le sue scene d’amore con Francesca Neri sono la cosa più torbida ma anche romantica del film. Il giovane Victor è Liberto Rabal, figlio di Francisco, icona del cinema spagnolo. Sembrò allora che dovesse prendere il posto di Antonio Banderas nel cinema di Almodóvar, ma così non è successo. Lo si è poi visto pochissimo, e mai più diretto da Pedro.
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