L’albero di Guernica, Iris, ore 0,55.
Fernando Arrabal chi? Eppure tra anni Sessanta e Settanta lo si portava molto, nei salotti radical chic e gauche caviar, considerato nome di gran spicco dell’avanguardismo neo surreal-iberico-latino ibridato all’impegno politico anticapitalista e antitutto così tipico dell’epoca. Autore teatrale di pièce e messinscene catastrofico-apocalittico-anarcoidi di pezzi d’Occidente sul punto di scoppiare e decomporsi, non senza immersioni in pesanti erotismi ed esibizioni della carne (Baal Babilonia, Il cimitero delle macchine), diede vita anche a film allora osannati e oggi perlopiù dimenticati e rimossi, di cui il più celebre resta Viva la muerte!, di un antifranchismo golosamente macabro e iperbarocco. Parte di un movimento neosurreal-avanguardista di cui facevano parte anche l’artista-fumettaro Topor e il sodale Alejandro Jodorowsky, Arrabal oggi sembra autore remoto e iperdatato, anche se in Francia e nella natia Spagna è assurto a classico. Questo L’albero di Guernica (Arrabal è ossessionato dalla guera civile spagnola, da cui il padre uscì irrimediabilmente segnato) racconta l’incontro tra una contadina e il nobile Goya, mentre Franco incomincia la sua controffensiva antirepubblicana. Arriverà anche il bombardamento tedesco di Guernica, che avrebbe poi ispirato a Picasso una delle sue opere più celebri. Film incredibilmente anni Settanta (è del 1975), incredibilmente girato nei Sassi di Matera spacciati per villaggio spagnolo, incredibilmente interpretato da Mariangela Melato. Irto di simboli indigesti, gonfio, retoricissimo. Straculto, qualunque cosa questa parola significhi.
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