La cuccagna, Iris, ore 0,15.
Da non perdere davvero, e per più motivi. Innanzitutto perché è uno dei film girati da Luciano Salce nella sua migliore stagione, quella dei primi anni Sessanta in cui realizzò Il federale, La voglia matta e Le ore dell’amore, tutti esempi di una commedia all’italiana acida e disincantata, e più piccolo e medio-borghese che popolar-proletaria. La cuccagna si aggiunge a quei titoli e si pone al loro stesso livello mettendo in scena sogni, illusioni, delusioni e appetiti del boom che allora ridisegnava il nostro paese dando l’avvio a una vera e propria mutazione antropologica. L’eroina piccola piccola è una ragazza in cerca di lavoro come stenodattilo (così si diceva allora) in una Roma popolata di smargniffoni, tremendi tipi umani, profittatori di ogni tipo. Mostri, per dirla alla Dino Risi. L’accompagna in questa esplorazione forzata del sottomondo capitolino un ragazzo fuori rango, uno di quei ribelli esistenziali senza causa e non ancora politicizzati di allora, il quale è poi Luigi Tenco nella sua prima apparizione cinematografica: il che costituisce un’altra di quelle ragioni che rendono unico, e indispensabile, questo film. In bianco e nero, come usava allora nel cinema autoriale-chic italiano. Doveva essere il lancio divistico di Tenco, ma il pubblico disertò le sale. Peccato. Tenco canta La ballata dell’eroe di De Andrè, e già questo. Con Ugo Tognazzi, Donatella Turri e Umberto D’Orsi.
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