L’odio, Sky Cinema Cult, ore 0,45.
In my opinion, uno dei film più importanti degli anni Novanta, e non solo. Io lo adoro, semplicemente. Quando lo vidi, anno 1995, rimasi folgorato dal talento del suo regista, l’allora ventinovenne Mathieu Kassovitz, in grado di cogliere un universo sociale, quello delle banlieu, come nessuno era riuscito a fare fino a quel momento, nemmeno le più scrupolose inchieste sociologiche e giornalistiche, e di restituircelo con una visualità e uno stile prodigiosi. Finalmente capimmo tutti da L’odio cos’erano le cité francesi, con il loro concentrato di immigrati da Africa nera e Nord Africa, con il loro esplosivo carico di vite difficili e di rivalse personali e collettive, con i loro incroci ad alta infiammabilità di etnie e culture e appartenenze identitarie. E poi, la rabbia verso la polizia e quelli con le tasche gonfie di soldi, i vandalismi, le rivolte, la messa a fuoco di interi quartieri. L’odio profetizzava e anticipava con sbalorditive esattezza e lucidità quanto sarebbe avvenuto dieci, quindici anni dopo in Francia con l’esplosione delle banlieu. C’era già tutto lì, e non era solo un film. L’odio (La Haïne) parte con la polizia che massacra un ragazzo di origine araba. La rabbia si propaga, scatta la rivolta. La vita di quartiere intanto la conosciamo attraverso le storie, le facce, il ciondolare e il peregrinare incazzato di tre amici, l’ebreo Vinz, l’arabo Saïd, il nero Hubert. Droghe consumate e spacciate, brutalità subite e provocate. Furti e varie illegalità. Ragazzi di vita pasoliniani, ma quarant’anni dopo negli inferni delle banlieu, e con molto più disincanto. Quello che colpì allora di L’odio fu anche lo stile con cui Mathieu Kasovitz registrava, descriveva, mostrava. Bianco e nero su grande schermo, immagini potenti e un’estetica gridata che molto doveva alla subcultura hiphop di graffitismo e affini. Ritmo e senso dello spettacolo da gran cinema americano (e Taxi Driver citato e stracitato). Attori che non sembravano tali, che si prendevano dentro di sè, che incorporavano il personaggio fino a confondersi con lui. Film che stabilisce e fa scoprire Vincent Cassel come uno dei migliori attori d’Europa. Da rivedere e rivedere. Con un occhio particolare a come Mathieu Kassovitz dipana i rapporti tra l’ebreo Vinz e l’arabo Saïd: un tema, quello della convivenza in Francia di queste due appartenenze cultural-religiose, oggi incandescente. Kassovitz non è più riuscito, nonostante il suo smisurato talento, a replicare il risultato dell’Odio. Ma io continuo a seguirlo, anche quando confeziona (benissimo) cose di genere come I fiumi di porpora o incappa in flop come Babylon A.D. Sperando che prima o poi riesca a darci un altro film come La Haïne.
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