Lolita, Iris, ore 22,43.
Capolavoro kubrickiano (uno dei tanti), Lolita resta un film esemplare dei rapporti (sempre complicati) tra cinema e letteratura. Vladimir Nabokov non fu per niente soddisfatto di questa trasposizione cinematografica del suo libro più famoso, anche se a firmarla c’era in quel remoto 1962 uno che si chiamava per l’appunto Stanley Kubrick. Ma, come sempre, anche in questo caso è meglio vedere il film in sè e non per quanto sia fedele o infedele al testo di partenza. E il film ancora oggi regge bene, restituendoci in pieno l’attrazione-follia del professor Humbert Humbert per Lolita, l’adolescente (ma forse sarebbe meglio dire pubescente) figlia della sua padrona di casa. Perde la testa per lei, ne sposa la madre, vedova, per poterle stare vicino, l’avrà, ma lei lo abbandonerà. Un altro professore distrutto e perduto dal desiderio, come in L’angelo azzurro di Joseph von Sternberg da Klaus Mann. La guerra dei sessi messa in scena in un rapporto asimmetrico, lui maturo e con un posto nella vita, lei ragazzina apparentemente priva di mezzi se non la sua carica seduttiva. Eppure sarà lei a prevalere. Kubrick impagina con un rigore geometrico, e tratta questa battaglia (o partita a scacchi) di sentimenti e passioni tra due avversari senza entrare in sottigliezze psicologiche, e invece sempre con il suo approccio forte, titanico, nauralmente colossale. I due protagonisti sono pedine militari di una sfida implacabile, esattamente come in Spartacus, come in Barry Lyndon. Lolita è un colossal da camera, ma pur sempre un colossal. Fortunatamente, Kubrick non sa neppure cosa siano gli psicologismi, mentre sa bene cosa siano le passioni e la loro enorme distruttività. Molto controllato nelle scene di erotismo per non imbattersi nella censura. Con James Mason e la ragazzina Sue Lyon, che poi non si ripeterà mai più agli stessi livelli, e che sarà consegnata alla storia del cinema attraverso quell’immagine col lollipop e gli occhiali a forma di cuore. Strepitosa apparizione collaterale di Peter Sellers, ma la migliore è Shelley Winters nei panni dell’ambigua, sciagurata madre.
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