L’Academy ha da poco fornito la shortlist dei film che concorreranno all’Oscar per il miglior film in lingua straniera. Sono 9: successivamente verranno ridotti alle cinque nomination finali. Erano 71 ai nastri di partenza, compreso Cesare deve morire dei fratelli Taviani, che però non ce l’ha fatta. Come era già succcesso l’anno scorso con Terraferma di Crialese e l’anno prima con La prima cosa bella di Virzì.
I 9 della shortlist (cliccando sul link potrete leggere la recensione di questo blog):
Amour di Michael Haneke (Austria)
War Witch di Kim Nguyen (Canada)
No di Pablo Larraín (Cile)
A Royal Affair di Nikolaj Arcel (Danimarca)
The Intouchables (Quasi amici) di Olivier Nakache e Eric Toledano (Francia)
The Deep di Baltasar Kormákur (Islanda)
Kon-Tiki di Joachim Rønning e Espen Sandberg (Norvegia)
Beyond the Hills (Oltre le colline) di Cristian Mungiu (Romania)
Sister di Ursula Meier (Svizzera)
Il commento. L’esclusione di Cesare deve morire non è purtroppo una sorpresa. Nelle predictions dei vari siti americani specializzati pochi lo davano tra i probabili finalisti, nonostante l’Orso d’oro conquistato a Berlino. Si capiva che sarebbe stata dura, durissima. E difatti. Comunque l’Italia ha fatto bene a nominarlo come proprio candidato, era la migliore scelta possibile. Solo che quest’anno i titoli concorrenti erano moltissimi, e parecchi di livello eccellente. Con già un vincitore annunciato: Amour di Haneke. L’Oscar come best foreign language movie ce l’ha già in tasca, solo un cataclisma potrebbe toglierglielo. Che dire degli altri della lista? Avendoli visti quasi tutti nei vari festival (Cannes, Locarno, Berlino) mi sento di dire che alcune inclusioni sono ineccepibili, anzi doverose, altre meno. No di Larrain è davvero uno dei migliori dell’anno, Sister di Ursula Meier pure. Quasi amici, candidato francese (Amour corre per l’Austria, il paese di Haneke, anche se il film è di fatto made in France), è il successo mondiale che sappiamo, dunque giusto così. Oltre le colline è stato a mio parere largamente sopravvalutato fin dalla sua prima proiezione a Cannes, War Witch l’ho visto a Berlino e non mi ha convinto per niente, un film di nobili intenzioni, ma gonfio di cliché filo-terzomondisti, però di quel genere che tanto piace ai giurati (e difatti alla Berlinale la ragazzina congolese protagonista si è portata a casa il premio per la migliore interpretazione femminile, roba da matti). A Royal Affair, pure questo uscito dalla Berlinale, è un period-movie molto ben fatto, su un pezzo di storia danese assai interessante, che ha sfondato dappertutto, venduto in un’ottantina di paesi ma, chissà perché, non ancora stato distribuito in Italia nonostante l’appeal che potrebbe avere sul pubblico (e poi c’è il grande Mads Mikkelsen). The Deep e Kon-tiki non li ho visti, dunque mi astengo da ogni commento. Se vogliamo andare a vedere quali sono i festival che hanno lanciato il maggior numero di titoli in lista, vediamo che Berlino ne ha piazzati ben tre, altrettanti Cannes (Amour, Oltre le colline e No, presentato alla Quinzaine però, non nelle selezioni ufficiali). Venezia nemmeno uno. Tra quelli visti al Lido i più accreditati a finire nella shortlist erano l’israeliano La sposa promessa e il Leone d’oro coreano Pietà, ma non ce l’hanno fatta. L’esclusione forse più inattesa è quella del tedesco Barbara, pure uscito dalla Berlinale e dato tra i favoriti: un buon film che avrebbe meritato. Mi spiace che sia rimasto fuori anche il bellissimo, sottovalutato Just the Wind, ungherese, pure quello presentato e premiato con un Orso d’argento a Berlino.