Da qui all’eternità, Iris, ore 21,06.Solido cinema hollywoodiano degli anni d’oro (siamo nel 1954), spettacolare, ma con un qualche pretesa di impegno e racconto morale. Miscela perfetta del film da Oscar, e difatti Da qui all’eternità ne vinse ben 8, compresi quelli come miglior film e per la migliore regia. Che è poi di Fred Zinnemann, uno dei tanti fuggitivi dal nazismo che in America trovarono riparo e opportunità. Robusto narratore, alieno però da ombre e penombre e ambiguità che erano invece la vocazione e il segno distintivo di altri illustri viaggiatori sull’asse Vienna-Berlino-Hollywood, come Billy Wilder, Robert Siodmak o Fritz Lang. Siamo in una base militare nelle Hawaii, pochi giorni prima che si scateni l’attacco giapponese a Pearl Harbour che determinerà l’ingresso Usa nella seconda guerra mondiale. Aleggia quel senso di minaccia, di fato che sta per compiersi, tanto spesso usato da cinema e altre forme narrative per accentuare la tensione e il turgore (melo)drammatico del racconto. Vite di soldati e di personaggi a loro vicini che si intersecano, confliggono e collidono, fino a creare un affresco grondante passioni, nevrosi, sensi di colpa, paure. Un ex pugile viene maltrattato dai commilitoni e minacciato di deferimento alla corte marziale perché si rifiuta di combattere in un torneo militare di boxe, essendo ancora traumatizzato da una tragedia vissuta sul ring tempo prima: un gran personaggio dilaniato e interrotto che consente a un meraviglioso Montgomery Clift di sviluppare tutta la sua naturale riluttanza alla virilità più smaccata, in una perfomance che è quasi un’allusione o una metafora della sua nascosta omosessualità. Un sergente (Burt Lancaster) si innamora, riamato, della infelice consorte (Deborah Kerr, da urlo) del suo autoritario, carognesco capitano. Altre figure ruotano sulla scena, a comporre il quadro di una vita militare corrosa da sotterranee fratture, dall’abuso di potere, da ribellismi sottotraccia. Con un blando antimilitarismo che fece di Da qui all’eternità uno dei film-manifesto della Hollywood meno conservatrice. Ma la scena che si imprime nella memoria è quella, ultrasensuale, di Burt Lancaster e Deborah Kerr nudi e abbracciati sulla spiaggia mentre le onde li avvolgono. Uno dei simboli dell’erotismo anni Cinquanta, firmato paradossalmente da un regista come Zinnemann che era di quanto più austero e sobrio ci fosse sulla piazza.
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