Pazze di me, regia di Fausto Brizzi. Soggetto e scengiatura di Fausto Brizzi, Marco Martani, Federica Bosco. Con Francesco Mandelli, Loretta Goggi, Chiara Francini, Claudia Zanella, Paola Minaccioni, Lucia Poli, Valeria Bilello, Gioele Dix, Flavio Insinna.
Un giovane uomo oppresso da sette presenze femminili, dalla mamma tiranna alle sorelle, una più insopportabile dell’altra. Fausto Brizzi, uno dei reucci del box office italiano, tenta la commedia abbastanza sofisticata (abbastanza). Ma le idee latitano, il ritmo è da valium, parecchi attori sono inadeguati. Ogni possibile aggancio alla realtà, ogni elemento vagamente perturbante è rigorosamente piallato via: siamo ai nuovi telefoni bianchi, senza però la grazia di un Camerini (o di una Alida Valli, di una Maria Denis). Sicchè il vero richiamo del film resta Loretta Goggi come matriarca di ferro. Brava è brava, ma il film quello è. Voto 5 meno
In Ubriaco d’amore, il film più fuori di testa dell’immenso e da me adorato Paul Thomas Anderson (però anche The Master non scherza), tutto ruotava attorno ad Adam Sandler povero maschio oppresso da sette sorelle. L’avrà visto Fausto Brizzi? Qualche analogia in questo suo Pazze di me la si ritrova, anche qui c’è un giovane maschio di nome Andrea circondato e pure lui depresso-oppresso da sette femmine: sei donne (madre, nonna, badante della nonna, tre sorelle) più una cagnolina. Altri uomini zero, il padre (Flavio Insinna) se n’è fuggito disperatamente tanto tempo prima lasciando che in casa si instaurasse il più ferreo dei regimi matriarcali. Visto che l’idea vien dritta da un libro di una delle poche autrici italiche di chicklit, Federica Bosco, non la si può di sicuro accusare di misoginia o di scorrettezza politica. Certo quelle donne son tutte, pur se ciascuna a modo suo, delle arpie, proiezioni delle peggiori angosce maschili di castrazione, e al povero Andrea tocca subire, accondiscendere, abbozzare, visto che ogni tentativo di sottrarsi al giogo finisce puntualmente col fallire. Conosce una bella e sana ragazza cantantista di pianobar, ma non appena la presenta alle sue quella scappa. Ne conosce un’altra, ma anche lì non sarà mica facile. E avanti così, fino all’abbastanza prevedibile finale.
Niente di particolarmente nuovo né tantomeno di originale. Diciamolo, il film ha quale massima ragione di interesse e richiamo la presenza di Loretta Goggi, ormai idolo della queer culture italiana, adorata da legioni di fans (mica solo omosessuali, intendiamoci, anche i signori e le signore over 60 stravedono per lei), ma che dal cinema non è mai stata amata, e che qui finalmente ottiene un ruolo quasi-protagonista all’altezza dei suoi talenti. Quasi un risarcimento di come i signori di Cinecittà l’han sempre (mal)trattata e trascurata. Non delude, la Goggi, ovviamente nella parte della matriarca Vittoria, padrona assoluta e militaresca di quel clan femminile di cui il povero Andrea è lo schiavo, da lui soprannominata non a caso colonnello (o maggiore o generale, non ricordo bene) Hartmann. Ha i tempi e i toni della commedia, e si rimpiange di come un cinema come il nostro, che di commedianti donne non ha mai abbondato (Valeri, Vitti, Melato e poche altre), non l’abbia utilizzata al meglio.
Certo, chi si aspettava da lei una esplosiva performance camp rimarrà deluso, Fausto Brizzi non ha il senso per l’eccesso sgargiante e il grottesco, mica è Almodovar, e mantiene la Goggi e il film all’interno del recinto della commedia tuttosommato bon ton e piccolo borghese, senza punte né asperità, accomodante, rassicurante e piaciona. Qui si viene al punto. Cos’è mai questo Pazze di me? Una di quelle neocommedie all’italiana che hanno riconfigurato il genere comico-brillante da qualche anno in qua, grazie a nomi come lo stesso Brizzi, Miniero, Genovese et cetera. Una commedia lontana dalle scurrilità e dalla carica plebea ma anche sanguigna dei film di Risi-Monicelli e dei loro sottoderivati, una commedia che riflette l’Italia mutata e imborghesita (di un imborghesimento piccolo piccolo) rispetto a quella operaia e proletaria di allora, una commedia il più delle volte perbenino e spossata, anemica, che tenta qua e là la strada della sofisticheria (nel senso di sophisticated comedy) senza riuscirci. Il risultato, in questo Pazze di me come altrove, è un cinema vorrei-ma-non-posso, costantemente inadeguato e al di sotto delle sue ambizioni, spesso smanceroso e come vergognoso di certa volgarità che invece, come un virus, continua nonostante tutto e nonostante ogni tentativo di cancellarla a trapelare. In questo film di Brizzi parecchie cose non funzionano e gli impediscono di decollare. Il ritmo innanzitutto, blandissimo, insostenibilmente allentato, qualcosa che è ormai una malattia genetica del nostro cinema. Battute trascinate e stanche e mai fulminanti, dialoghi telefonati e soporiferi, invenzioncine che neanche la peggio sit-com: vogliamo parlare del macchiettone del portinaio innamorato? A sgomentare è la totale assenza di un qualsiasi, anche debole, legame con la realtà, intendo l’oggi, questa Italia, questo mondo, questa gente. Pazze di me è sospeso nell’atemporalità, in una dimensione derealizzata e artificiale, quasi allucinatoria, una bolla in cui personaggi improbabili si muovono come in un acquario. La sorella guru femminista e violentemente antimaschi sarebbe stata inattuale perfino negli anni Settanta, figuriamoci oggi, solo la figuretta della badante lancia un pur fragile ponte con l’attualità. I set sembrano quelli fintissimi di Un medico in famiglia, solo con qualche pretesa in più, e mi chiedo dove mai gli autori del film abbiano conosciuto un cardiologo d’ospedale come quello interpretato da Gioele Dix che si possa permettere una villona così che neanche a Beverly Hills. Film come Pazze di me (lo stesso senso di irrealtà lo comunica l’imminente Il principe abusivo di e con Alessandro Siani) assecondano l’escapismo di massa di questa Italia che non si rassegna a guardarsi allo specchio e continua a immaginarsi quella che non è o non è più, un’Itali che neanche nella commedia sopporta la minima cattiveria, il minimo turbamento, la minima frustrazione e vuole solo dimenticare, stordirsi, illudersi. Siamo, ecco, a una sorta di nuovi telefoni bianchi, solo che non si scorgono da nessuna parte l’incanto e la grazia di un Camerini, però la voglia di fuga in un mondo caruccio e senza spigoli e da ogni confronto con il reale è la stessa. O, se volete, siamo riprecipitati nelle commedie alla Castellano e Pipolo tardi anni Settanta, quelli con la coppia Celentano-Muti, e non è una gran cosa. Mi chiedo come possiamo recuperare posizioni nel ranking cinematografico globale con prodotti così quando, non dico gli Stati Uniti, ma la Francia è capace di darci commedie come Quasi amici o Cena tra amici. Altro limite di questo Pazze di me sono gli attori, alcuni davvero inguardabili e soprattutto inascoltabili, e basta per favore con le parlate e le cadenze da Roma piccoloborghese, non se ne può più. Qualche bravo c’è, la Goggi ovviamente, la nonna Lucia Poli (ma non c’è neanche bisogna di ricordarlo), lo stesso Francesco ‘solito idiota’ Mandelli se la cava bene. Però signori, se questa è la faccia allegra e briosa del nostro cinema vien da piangere.
P.S. Solo in una scena il film sembra emanciparsi dalla propria pochezza e diventare adulto, ed è quando Andrea si ritrova faccia a faccia con il padre imbarbonito che non lo riconosce. Allora sì, qualcosa di autentico vibra finalmente in questo Pazze di me. Ma è un attimo.
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